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lunedì 19 gennaio 2009

Oro nero e poesia negli Emirati

Il sangue si raggela in camera, dove il ministro s’introduce col seguito – il ministro è poeta, quindi senza pudore. È la reazione che si dice di raggelamento, la paura dell’imprevisto. Anche se il ministro non interrompe un’intimità, l’albergo è l’Imperial, vero k. und k., königlich u. kaiserlich, regio e pure imperiale, le camere sanno di cacanica muffa, per stucchi e tendaggi, pur preziosi e rinnovati. Né la città è scena sbagliata, dacché Spengler l’ha espulsa dal Deutschtum relegandola alla latinità – “Vienna è una creazione dello spirito spagnolo”. Ultima sede dell’impero, scelta a capitale dai paesi del petrolio, per radicare la loro natura di nuovi arrivati nei grandi affari.
Il ministro è bianco e grigio, i colori dell’aria, in tinta con le losanghe dell’albergo, di marmo freddo. Ha l’occhio vivido, muove il rosario a velocità ultrasonica e dalla porta va diretto sul letto. Si tira su il saio, gesto osceno che gli arabi fanno forse di necessità, piegandolo sull’inguine. E parla ispirato, a nessuno in particolare, ma il suo arabo che nessuno capisce suona minaccioso. La poesia è onorata nel suo polveroso paese, che appena ieri era uno dei Trucial States, staterelli della tregua “Estremamente popolare” dice la “Britannica”, del genere nabati, un’ode che s’improvvisa, l’emiro vuole farla alla televisione. Il segretario tira fuori da una cartella dei fogli fotocopiati e spillati e li porge: sono poesie, tradotte in inglese, a conferma che il ministro è poeta. Non si sa se offrire il whisky, se è opportuno. La conversazione langue, malgrado i tentativi di portarla sulla poesia araba, di cui nessuno peraltro sa nulla - il ministro si annette tranquillo Omar Khayyam.
Tace pure Pasquale, che ha voluto l’incontro, e ora guarda da sott’insù beffardo. Sarà la sua vendetta, per essere stato estromesso definitivamente dall’Ente – è a Vienna alla conferenza dell’Opec in qualità di broker indipendente, mediatore d’affari. Un tentativo di conversazione sulle strategie dell’Opec è caduto nel nulla. Finché un secondo stiracchiato tentativo, un accenno ai piani di sviluppo degli Emirati, non viene interrotto brusco dal ministro, col quale, tirato imperiosamente per il braccio, un convegno a due si stabilisce infine nel bagno. Dagli ampi saloni alla camera e al bagno, sembra di entrare telescopicamente in un incubo che si chiude soffocante, a imbuto, senza uscita. Ma un ghigno presto scioglie tutto, in bagno il ministro è rapido. E chiaro. Noi cerchiamo petrolio, lui ha petrolio, vuole per sé il sette per cento. Sul suo sette per cento, che oggi è un dollaro a barile, lascia per noi dieci cents, il dieci per cento del sette per cento:
- In contanti, in conto fiduciario, in valori, anything anywhere. - L’ha detto, è contento di sé, la visita termina altrettanto bruscamente.
E non si può rifiutare, il petrolio è poco, il petrolio è caro. Ma noi chi? La storia a volte avviene prima ancora di essere congegnata, i suoi nodi sono marinari, solidi e solubili, basta tirare un capo per sgrovigliarli. Ma non è finita, un lungo silenzio è seguito. Si potrebbe fare della filosofia, sul mondo che si ribalta, sulla penuria che è solo corruzione e denaro, sulla mission sovrastata dal business, ma chi dubita che gli affari siano mai stati fatti in altro modo? E allora a che si deve il turbamento? A Pasquale, che ha armato la trappola? Ma il suo allontanamento è solo l’esito dell’inutilità del negoziatore, o stratega: non ci sono più progetti, investimenti, aiuti, sviluppo, ci sono provvigioni. È l’incertezza dell’affare fatto? Da chi? E con chi? E come, in un bagno? Non c’è neppure stata la stretta di mano dei contadini al mercato, negli Emirati sono educati all’inglese, a distanza. La reazione è di panico per il noto difetto biologico, la resistenza innata al commercio.
Cessato l’impulso, è subentrata un’ambivalenza, nel sentirsi in mano, in contanti, in lingotti, in conto fiduciario, quel dieci per cento del sette per cento, tra la sensazione di volare e quella di affogare. Non sapendo al momento, né tuttora, che cifra faccia, magari è irrisoria, ma è gratuita, non implica sforzo, sacrificio, costanza, e porta stima perfino, e gratitudine, dei consumatori, dei cittadini. Anche un solo centesimo di dollaro al barile, moltiplicato per tutti i barili di una superpetroliera, dovrebbe fare una discreta somma, ma non è il guadagno che toglie il fiato. Hanno carica lussuriosa gli affari, pulsa non soltanto nel cuore ma sulla vista, il tatto, l’udito, perfino in bocca. Pulsa sgomenti se non si è avidi.
(L’aneddoto è estratto da Astolfo, Vorrei andarmene ma non so dove, romanzo in via di pubblicazione)

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