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giovedì 20 maggio 2010

L’antiplebiscitarismo dell’antipolitica

Scopre la sinistra tramite Carlo De Benedetti quello che Berlusconi ha scoperto vent’anni fa e applicato per quindici - ed ha fatto e fa la differenza alle elezioni: che si vota per un leader. Il fenomeno viene dall’America, e questo basta. Ma si applica anche in Francia, in Germania, in Inghilterra e altrove in democrazia: si vota per un leader, sia pure dentro un partito.
Lo sa benissimo naturalmente De Benedetti. Il quale però è uno che ha distrutto tutto ciò che ha toccato. In attesa di liquidare “Repubblica”, un giornale che marciava verso il milione di copie, e che adesso lotta per stare sopra le 400 mila, e di cui ha tentato la vendita a Murdoch. Uno dalla saggezza quindi perlomeno dubbia. Che si applica ora a difendere il parlamentarismo puro e duro. Da quarant’anni di polemiche anti-partiti (la partitocrazia). Con Guzzanti padre, che riunisce tutte le qualità camaleontesche dei figli. Senza proporre rimedi al plebiscitarismo in sede di formazione dell’opinione e del voto. Ma condannandolo a basta. In virtù di un parlamentarismo fatto di due Camere in copia, tempi di discussioni infiniti, in infinite commissioni, con varie lettura in aula. Senza ridere.
Il fatto è noto. La deriva plebiscitaria questo sito sintetizzava così il 23 aprile 2009:
"L'Italia... ha già scelto, ripetutamente, attraverso una serie ormai lunga di referendum: ha scelto di essere governata. È stata la decisione della Lombardia, con la quale essa ha sovvertito e preso in pugno l'Italia... Con la Lega dapprima,... e poi con Berlusconi, il lombardo più riuscito. Con il contributo di capi politici non disprezzabili, Mario Segni, Pannella, Ochetto, Di Pietro, Nanni Moretti...
"Tutte le leggi elettorali sono state rifatte per portare alla elezione diretta del capo, sia esso il sindaco, il presidente della provincia, e il cosiddetto governatore regionale. Alla elezione, senza la mediazione dei partiti, di uno che poi decide in autonomia il suo programma, e si sceglie gli assessori, sempre senza obblighi verso i partiti, e nemmeno filo diretto con loro. Tutti i sistemi elettorali sono stati improntati alla scelta del capo, di uno in grado di decidere senza condizionamenti, perché investito dal voto plebiscitario.
"Dal voto popolare, a voler essere precisi. Anche perché questo aggettivo ha pur semrpe una valenza positiva. La gente, i common people, l’uomo comune, in Italia squalificato dalla scienza politica togliattiana e da Guglielmo Giannini, è entità rispettabili in America, dove il regime plebiscitario ha trionfato da almeno un trentennio, da Reagan, sui partiti. Il New Deal ne ha creato la figura, Frank Capra l’ha celebrato nei film, il filosofo John Dewey gli dà dignità. Mentre lo sdegno contro l’uomo comune, oggi berlusconiano, ieri democristiano, politicamente detto il Centro, è, quando è sincero, il residuo del notabilato politico più che degli ex partiti di massa, lo stesso che si proclama società civile, una cosa quindi poco onorevole".
Porta al plebiscitarismo in primo luogo la funzione complessa del governo nelle democrazie contemporanee. In forma di partitocrazia, oppure di partito del Capo. Ma porta a esso senza paletti e senza rimedi la difesa del parlamentarismo da parte dei plebiscitari dell’antipolitica. Che Parlamento è senza politica? L’antipolitica non vuole il governo, e quindi non vuole il Parlamento.

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