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domenica 21 novembre 2010

Il genio (di Cilea) è infertile in democrazia

Questa brochure d’occasione (la traslazione dei resti di Cilea da Varazze nella natia Palmi, nel 1962) è un omaggio da concittadino, la testimonianza di un momento di commozione. Ma in quanto tale fa emergere due nodi. “C’è Cilea a Palmi” è il punto culminante della rievocazione: è il grido di un contadino, parliamo di oltre un secolo fa, che riconosce il maestro giunto in incognito. Dopodiché una serie di omaggi si scatena, con folle in festa, attorno al musicista nelle poche ore che passa in città. Palmi ha immediatamente e sempre riconosciuto il suo illustre concittadino, che pure aveva lasciato la città per Napoli bambino, le sue prime opere, “Gina” e “Tilde”, aveva composte a Bagnara, e le altre tre del suo smilzo catalogo, che gli daranno lustro, “Arlesiana”, “Adriana” e “Gloria”, a Milano e a Firenze. Anche il ricordo di Répaci, altro concittadino illustre, si fa ora (quasi) unicamente nel nome di Palmi. Un culto che Répaci stesso ha voluto portare fino al feticismo, comprando la Pietrosa, la casa di fronte al mare delle sirene dove il compositore limò l’“Adriana Lecouvreur”, ospite del giurisperito Sandulli. Quando Répaci nasce, nel 1898, ha già una sorella di nome Tilde, dall’opera di Cile del 1892. E sempre Palmi tributa onori al compositore: teatri, monumenti, orchestre. Ma non si può dire che il suo nome o la qualità della sua musica abbia germinato a Palmi. Che aveva anzi una cultura musicale, e dopo Cilea l’ha smarrita.
Lo stesso si può dire per Répaci, romanziere, poeta, pittore, organizzatore culturale, le cui qualità, e l’identificazione sempre mantenuta con la città d’origine, rimangono sterili. Ci sono cicli nella storia, e può darsi che Palmi abbia concluso il suo fertile periodo di capoluogo di circondario, sede vescovile e di tribunale, vice-prefettura, vice-questura, per un altro ciclo. Mercantile, chissà. Impiegatizio. Con più reddito, e meglio distribuito. Ma non si sa se è un progresso. Cioè si sa (si sa che non lo è), ma non si può dire.
Cilea d’altra parte non sarebbe potuto “nascere” oggi. Nacque alla musica, vi fu avviato, per la tipica catena notabilare imperante a fine Ottocento: il figlio dell’avvocato Giuseppe, che morirà giovane, cresce fanciullo con le sonatine al piano della zia Eleonora, è “scoperto” dal maestro della banda cittadina, Jonata, che assolutamente vuole che impari la musica, è fatto accettare al prestigioso Conservatorio napoletano dal dottore Giacomo Correale. Al Conservatorio diretto da Francesco Flòrimo, lo storico della musica napoletana, amico fraterno e biografo di Bellini, di San Giorgio Morgeto, a pochi chilometri da Palmi. Il notabilato può non essere essenziale al genio, ma la democrazia non se ne cura.
Leonida Répaci, Francesco Cilea

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