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venerdì 16 marzo 2012

L’America alla corte di Hitler

È la storia, falsata, di William Dodd, ambasciatore americano a Berlino, nominato da Franklin Roosevelt all’accesso di Hitler al potere, e di sua figlia Martha. Sullo stile di “Addio a Berlino” di Isherwood, il ricordo nostalgico della Berlino ruggente anni Trenta, sia pure con le guardie rosso-bruno per le strade. La vera storia è diversa. William Dodd è quello del libro, un professore di storia, forse non molto sveglio. Martha invece, la sua giovane figlia, che lo segue a Berlino già divorziata, ne fa la scena dei suoi piaceri, dal 1933 fino a fine missione, a fine 1938. Con una serie di relazioni da Messalina, copulando indistintamente tra gli altri col capo della Gestapo, nonché con Luigi Ferdinando, il nipote nazista dell’ultimo kaiser, e insieme col primo segretario dell’ambasciata dell’Urss, che era una spia. Ma le sue simpatie andavano al regime, antisemitismo non escluso, e ne lasciò traccia nei ricordi che, solo in parte purgati, volle pubblicare nel 1939, “Through Embassy Eyes” – il padre Hitler lasciava perplesso più che critico, secondo l’“Ambassador Dodd Diary” che nello stesso anno Martha editò col fratello (all’ambasciata gli succedette per due anni e mezzo Joseph “Joe” Kennedy, il padre dei fratelli, filotedesco convinto).
Dopo la guerra Martha risulta invece folgorata dal comunismo sovietico, che servì come spia, col suo nuovo marito Alfred Stern - uno che si era arricchito sposando e divorziando l’erede dei magazzini Sears Roebuck. A suo dire anzi ne era spia fin dagli anni Trenta a Berlino, e aveva utilizzato le avventure coi capi nazisti e lo stesso libro di ricordi come copertura. Quando fu convocata dalla commissione McCarthy per le attività antiamericane fuggi col marito in Messico, e quindi a Praga, dove è morta dimenticata nel 1990, con lunghi intervalli randagi a Mosca e a Cuba. Una di molte vite perdute, donne per lo più, nei paradisi comunisti – la più famosa sarà stata Anna Louise Strong, “Anise” (1885-1970), anch’essa americana, che tradirà Mosca per Pechino, dove morirà ospite da ultimo nell’ex residenza italiana; o Klara Blum, che a Pechino morirà l’anno dopo dimenticata, dove s’era esiliata in cerca dell’amore sconosciuto, ribattezzandosi Zhu Bailan, orchidea bianca, che di sé diceva essere scrittrice tedesca, ebrea, sovietica, cinese, emigrata in un primo tempo in Palestina e poi a Mosca.
Erik Larsen, Il giardino delle bestie, Neri Pozza, pp. 560 € 18

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