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venerdì 27 aprile 2012

La fotomodella smonta le (non) indagini

Per l’uscita del film di Giordana Adriano Sofri ha messo in rete l’ennesima ricostruzione della vicenda, che è, infine, un atto d’accusa. Unico perdente , condannato, di tutta la vicenda, Sofri è l’esempio vivente della contraddizione. Che è giudiziaria, politica, e anche storica o d’opinione – e perfino istituzionale: è l’unico escluso, nonché dalla grazia, anche dalla pacificazione per i 40 anni al Quirinale. Ma finora non aveva eccepito, legandosi anzi ai suoi carnefici, politici e mediatici. Aveva onorato la memoria di Pinelli, ma nulla più. Ora smonta – involontariamente? - l’incredibile vicenda, di polizia e giudiziaria, con un semplice ricorso alla verità delle indagini.
Il suo pamphlet Sofri dice diretto a smontare le “tesi” di un libro di divulgazione, “Il segreto di Piazza Fontana”, scritto tre anni fa dal giornalista parlamentare dell’Ansa Paolo Cucchiarelli, cui Giordana ha fatto riferimento – le cui tesi però (due borse, due bombe, due taxi, e perfino “due ferrovieri”: per poter avere la pista anarchica e quella fascista-servizi segreti Cucchiarelli imbastisce il suo romanzo sul doppio) non ci sono nel film. Ma d’acchito mostra come le indagini sono state condotte male – non per incapacità. Riporta infatti la testimonianza resa il 15 dicembre, 48 ore dopo la strage, da una cittadina norvegese, Gunhild Svenning. Ventitrenne, fotomodella, aveva incassato un assegno di 35 mila lire dall’agenzia teatrale “21” di via Cappuccio, e dalla stessa agenzia alle 15.44 aveva chiamato il radiotaxi per andare alla Banca d’Agricoltura di piazza Fontana in tempo per cambiarlo. L’aveva fatto e se n’era andata a casa a piedi, a via Belisario 1. La chiamata al radiotaxi fu segnalata, Gunhild fu subito convocata, e rese la sua testimonianza. Che il direttore dell’agenzia “21” il giorno successivo confermò. Ma Gunhild insieme con la borsetta aveva anche una “grande cartella”, afferma il tassista. “Era il mio portfolio”, dice la modella.
Le cose si potevano dire e sapere, non c’era bisogno di tante ipotesi campate sul nulla. Che però confluirono a rallentare e deviare le indagini. Inutile dire che su questo particolare dimenticato s’impiantarono per un anno o due quasi processi: la modella era un uomo truccato, la cartella era una valigia, il suo taxi incrociò quello di Cornelio Rolandi, l’accusatore di Valpreda. E non è finita: se qualcuno ritiene la “doppietà” di Cucchiarelli espediente romanzesco, o ridicolo, si ricreda, la Procura di Milano ci ha indagato per alcuni anni, e solo ora archivia, nell’anno 43.
Sofri usa l’episodio della modella per smontare la tesi del complotto. Ma con questo semplice rimando, a una semplice testimonianza, smonta invece la (non) inchiesta su piazza Fontana. Dell’Ufficio Politico della Questura, della Procura, del ministero. Dà uno spaccato di come le indagini si potevano fare e non furono fatte: le indagini su piazza Fontana si potevano fare bene, con professionalità, e furono fatte male, inescusabilmente se non di proposito – poi magari un giorno lo steso Sofri dirà la verità anche sull’assassinio di Calabresi, che non fu indagato. Il complotto non c’è, eccetto che quando c’è.
Sofri scrive “43 anni” per dire che piazza Fontana fu l’opera di gruppi fascisti. E basta. Non è vero: piazza Fontana, come poi Brescia, e altri attentati alla bomba, hanno evidenti responsabilità politiche, giudiziarie e di polizia. Si trova quel che si cerca, la scoperta suppone un progetto, ma come dimenticare? La colpa delle bombe fu così accertata: hanno confessato in due, Valpreda e Pinelli, anarchici. Pinelli si è poi ucciso. Ha confessato quando un questurino gli ha detto: “Valpreda ha confessato”. Lo schema Romeo e Giulietta. Tuttavia, Sofri toglie egli stesso il sasso portante alla costruzione, con la testimonianza di una fotomodella, ineccepibile.
Adriano Sofri, 43 anni. Piazza Fontana, un libro, un film, free online

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