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martedì 23 ottobre 2012

La magia della truffa finanziaria

L’argomento è lo stesso del coevo “Manifesto” di Marx, ma in chiave comica, e più portentosa che sarcastica: i misfatti del denaro sono quelli dell’energia creativa, una proiezione intensa dell’esistenza. E una costante della vita oltre che dell’opera di Balzac.
“Le Faiseur” è l’ottavo e ultimo dei ripetuti tentativi di Bazac di sfondare nel teatro, in un progetto economico più che artistico, senza successo. Quest’ultimo tentativo il successo lo avrà, e duraturo, ma postumo. Anche in Italia: da alcuni decenni in disuso, si usò a lungo rappresentarla col titolo “Mercadet l’affarista”. Iniziata nel 1839, nel pieno dell’affarismo della monarchia orleanista, da un legittimista Balzac tuttavia non molto scandalizzato (il re Luigi Filippo non sbagliava mai un colpo in Borsa), la commedia fu completata nel 1848, al ritorno della Repubblica, due anni prima della morte dello scrittore.
Faiseur il curatore Philippe Berthier riporta a Vidocq, l’ex criminale divenuto capo della polizia che lo aveva repertoriato nel 1836, nell’enciclopedica epopea “I ladri”, come termine argotico per maneggione, truffatore: uno che s’indebitava per poi fallire. Balzac ne fa una vittima dei suoi stessi intrighi, della smania di manipolare, inventare, creare: un imprenditore, si direbbe oggi, non prudente, uno dalla straripante fantasia, illusoria. Venditore, si dice qui, di “merci fantastiche”. Riuscendo a divertire il pubblico.
Ripreso costantemente, “Le Faiseur” è infatti, benché marginale e quasi sconosciuto nella copiosa bibliografia balzacchiana, un successo popolare. Faiseur è del resto etimologicamente il poeta.  E Mercadet, il faiseur di Balzac, per molti aspetti lo è: non è avaro e nemmeno avido, è testimone quasi oggettivo della sua (e altrui) rovina, solo posseduto dal demone del fare, moltiplicare, fantasticare. Non diverso da Balzac, le cui mirabolanti imprese fallimentari non si contano, tra le altre le miniere d’argento in Sardegna, o le piantagioni di ananas a Passy, cioè a Parigi.
Jules Janin apparentò subito il Mercadet-faiseur di Balzac a Robert Macaire, il cattivo della scena francese,  più sbruffone che criminale, uno sempre capace di tornare a galla, per l’immaginazione fuori dell’ordinario. Inventato da Frédérick Lemaître (su un testo di Benjamin Antier e Saint-Amant, i suoi sceneggiatori) nel 1823, sotto il titolo “L’Auberge des Adrets”, ripreso dallo stesso Lemaître nel 1834 come “Robert Macaire”, con un “successo colossale” – di cui resta oggi traccia in “Les enfants du Paradis” di Carné, dove Brasseur impersona Lemaître come Robert Macaire. Il personaggio divenne soggetto di Daumier, di cancan, di carnevali. Ogni teatro volle un suo Macaire - e uno fu rappresentato col titolo “Une émeute au Paradis”. Ci fu un’ondata di “Robertmacarismo”, lamentò “Henri” Heine, parigino acquisito, che vedeva nella risata invece che nella deplorazione del crimine una rischiosa deriva morale, ma ne fece un genere: lo scherzo, la buffoneria, l’affettazione della generosità e dell’onesta dietro l’impudenza e il vizio. Lemaître, padrone allora della scena parigina, si assunse anche l’onere di rappresentare Balzac – e quando ci riuscì, nel 1840 con “Vautrin”, si fece subito bloccare dalla censura, avendo rappresentato nel protagonista una caricatura del re speculatore.
Berthier ci trova invece molti calchi del “Turcaret” di Lesage (1709), che è propriamente “Turcaret o l’uomo di finanza”. Con una differenza: il Turco “senza fede né legge” è sostituito da Mercato, un italianismo per mercato. E con un anticipazione: anche qui si aspetta un Godeau – solo la grafia è diversa.
Balzac, Le Faiseur, GF Flammarion, pp. 189 € 5,50

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