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domenica 21 ottobre 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (148)

Giuseppe Leuzzi

La giudice di Reggio Calabria Alessandra Cerreti, non si può dire perché ha impiantato processi in quattro anni a un paio di migliaia di mafiosi, ma sostiene con “Io Donna” che “esiste persino la «ninna nanna du malandrineddu»”. E che ci sono figlie di mafiosi che se ne liberano con facebook: “A volte intraprendono relazioni in rete e per la prima volta, magari a 30 anni, sono corteggiate non come figlie del boss ma come donne”.  Cioè, sembra pure crederci.

Gli olandesi Evola trova, come gli scandinavi, “degenerati”. Un inciampo al razzismo: “Queste popolazioni sono nelle stesse condizioni razziali oggi come lo erano due secoli addietro”, scrisse nel ’38 su “Deutsche Volkstum”, “ma c’è poco da trovarci ora della disposizione eroica e della consapevolezza razziale che un tempo possedevano”. Da qui la derivata del razzismo spirituale, non funzionando quello biologico. Il razzismo va e viene. Con la riuscita economica – la famosa grazia divina. Con l’umore, anche.

La Cancellieri l’ha appena decretata, aveva paura di che?, ma non si trova la contiguità. I carabinieri non le trovano uno straccio, neanche una fotografia, magari di un’entrata nello stesso bar con un  mafioso anche se in tempi diversi, e la ministra tenta ora di tirarla in lunga col commissariamento. Perché se si votasse subito a Reggio riceverebbe un graveolente pernacchio. Mentre quando di voterà lei non ci sarà.

Se il “contiguo” Arena però rivincesse le elezioni a Reggio Calabria, sarebbe in virtù della mafia. Non si scappa.

“Un miliardo per non costruire il Ponte”, calcola “Milano Finanza”. Per progettazioni e studi d’impresa. Un altro caso di spreco. Forse di corruzione, seppure legale. Ma che c’entra la Calabria? E la Sicilia?

La mafia è araldica
I carabinieri sono specialisti di fotografie e alberi genealogici. Da quarant’anni, da quando l’allora colonnello Morelli li inventò a Reggio Calabria, con le notizie che gli fornivano alcune polizie di emigrazione, canadesi, australiane, francesi. Ponderosi volumi di ascendenti, collaterali e discendenti, con affiliati e consigliori. Dettagliati allo spasimo. Impreziositi da ampi quadri d’assieme, disegnati originariamente alla china (oggi è più facile col computer) su più pagine a soffietto. Mai l’araldica  fu più documentata e celebrativa come per le famiglie mafiose.
Di tanto in tanto, ogni venti o trent’anni, i carabinieri arrestano uno o più capifamiglia. Diciamo a ogni ricambio generazionale. Sistemano i figli e ogni altro avente causa nelle caselle degli arrestati, e aspettano altri vent’anni. Uno penserebbe che il delitto debba essere punito subito. E invece no: dev’essere documentato. Aggiornato. Dettagliato. Esteso, con le zone grigie, le zone d’ombre e ora la contiguità.
Le mafie sono come allevamenti di pesci che i carabinieri tengono vivi per chi voglia pescarvi, giudici, giornalisti, politici.

Il “Sud” è italiano
C’è dappertutto un Nord e un Sud, una divisione che vuole segnare la prevalenza del primo. Ma solo in Italia la divisione è segnata dal disprezzo. Non in Francia, dove è semmai un certo Nord, chiuso, grigio,  a far sorridere, e anche ridere. L’Inghilterra, che il Nord ha rovesciato, non disprezza Belfast, o il Galles – né la Scozia quando era povera. In Spagna la democrazia, un tempo cioè di trent’anni o poco più, ha fatto del Sud poverissimo e arretratissimo, l’Andalusia, il cuore ancora pulsante dello Stato unitario, con i trasporti, l’agricoltura, il flamenco, e le “due anime”, atlantica e europea. In Germania gli amburghesi non disprezzano i bavaresi, tanto più che questi sono più ricchi – lo “Spiegel” amburghese era in guerra col leader bavarese Strauss, ma la contesa era politica. Né i bavaresi o gli svevi disprezzano il Nord: da cinque ani una polemica anche aspra oppone la Baviera e il Baden, le regioni chiamate a pagare i disastri delle banche (in realtà finanziarie) politiche del Nord, la WestLB  e la Ikb del Nordreno-Vestfalia (Düssedorf), ma senza disprezzo.
Il disprezzo del Sud Italia è l’esito dell’unione, mal concepita e mal realizzata, con tutta la simpatia di Garibaldi. Ma è di più, dopo centocinquant’anni, il segno maggiore di una debolezza che bisognerebbe pensare intrinseca al Sud. È inevitabile che la “questione meridionale” si gonfi, ora di mafia e di antimafia, invece di riassorbirsi.

Napoli
Muore Achille Serrao, il poeta campano del tardo Novecento, sconosciuto. Le sue poesie, raccolte nel volume “Cantalèsia”, sono pubblicate a New York

Trattandosi di bambini, sono naturalmente commoventi. “Desidero che polizia e carabinieri arrestino tutti gli spacciatori e non li facciano uscire più”. “Vorrei essere ricco per dare io i soldi agli africani per fare la spesa”. Ma quello che scrivono nel libro di Paolo Chiariello, “I sogni dei bambini di Scampia sono desideri” è solo naturale: c’è innocenza a Napoli. Anche a Scampia, che la malavita vorrebbe sua fortezza.

Salvatore “Sal” Strazzullo è nato a Napoli ma a sette anni è partito coi genitori per New York, ed è ora, a 40 anni, una celebrità di Manhattan come avvocato delle celebrità nottambule. È in tutto americano, ma mette Napoli sopra a tutto, il posto, il clima, i dintorni, le camicie, le cravatte,  i vestiti di Isaia, la cucina. Da quando la riscoprì adulto: “Nel 2000 arrivai a Napoli”, racconta a “Panorama”, “prenotai una suite all’hotel Vesuvio. Rimasi affascinato da come gli avvocati vengono trattati in Italia. Sono cosa seria, non come qui in America”. Non tutto il male viene per nuocere?

È scenario scelto per il noir italiano, il genere giallo violento. Nei romanzi e al cinema. Ma senza il fascino che il noir di origine, americano, assegna ai suoi settings, Los Angeles, San Francisco, Chicago, perfino la grigia Philadelphia di Goodis, per un’ovvia compensazione-attrazione rispetto alle storie trucide che vi si ambientano. Napoli è scenario scelto in quanto rifiutato, senza sole.

Napoli questo fascino ce l’aveva, l’ha mantenuto e anzi rafforzato anche nella storia negativa che l’unità le impose. Ma l’ha perduto da qualche decennio, da quando è diventata scenario vero, non fittizio,  di storie violente.

Pentiti
Si può dire Tommaso Campanella una delle prime vittime dei pentiti. Trattando del suo ruolo nella presunta congiura antispagnola per la quale si fece 27 anni di carcere, Rosario Villari a un certo punto dell’opus magnum “Un sogno di libertà”, sulla Napoli del primo Seicento, si sorprende: “Appare sorprendente l'attribuzione a Campanella del disegno di convogliare in un movimento antispagnolo di indipendenza le esasperazioni ed i fermenti della crisi sociale, spirituale e politica  di fine secolo. La sua cosiddetta congiura (1599) oscillò, secondo le dichiarazioni e le denunce dei suoi accusatori, fra tre soluzioni non solo inverosimili in se stesse, ma anche tra loro contrastanti. Il trasferimento del Regno al Papa, la sua annessione all’impero turco, e la creazione d’una repubblica, di “una città del sole”, tra i boschi, le città e le valli, belle e spesso devastate da alluvioni e frane, dell’Aspromonte”.
Lo storico attribuisce sì un ruolo, come già Luigi Firpo 65 anni fa, a Campanella nella domanda di libertà che poi sfociò in un progetto di Repubblica indipendente dalla Spagna. Ma non ne fa uno scemo, come Campanella stesso ribadì più volte ai suoi giudici torturatori: “Ch’un solo fraticello volesse ribellare un regno dal più possente monarca del mondo”.
Campanella era già stato arrestato cinque volte, benché non ancora trentenne, in varie città per i suoi scritti filosofici – era, come poi Tortora, “preda nota”. A denunciarlo per primo a Napoli fu un calabrese, suo concittadino di Stilo, Scipione Prestinace: condannato a morte per reati comuni, prima dell’esecuzione della sentenza nel 1597 tentò di ritardarla denunciando diversi suoi conterranei. Prestinace denunciava però Campanella come eretico e non come rivoluzionario, e il viceré di Napoli non se ne preoccupò.

“Il dolore più acuto è evidentemente il pentimento”, dice Kierkegaard, “Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno”. Basta un pentito di mafia a smentire un filosofo?

New York Times vs. Calabria
Una pagina del “New York Times” il 7 ottobre, di Rachel Donadio e Gaia Pianigiani, dice l’A 3, la Salerno-Reggio Calabria, “iniziata negli anni 1960 e ancora non finita, piena di “cantieri che si sono trascinati per decadi”.  Un caso esemplare, dice, del fallimento dello Stato. E “un simbolo di quanto alcuni paesi del Nord Europa dicono di temere di più dalla zona euro”: che diventi “un sistema assistenziale nel quale tocchi a loro sostenere un incapace Sud Europa”. Dove i soldi si perdono nella corruzione: “Dal 200 al 2011 l’Italia ha ricevuto dall’Unione Europea oltre 60 miliardi”, in gran parte indirizzati al Sud, con poco più di un’autostrada mezza completata da esibire”. Eccetera  eccetera, con una serie infinita di ruberie e delitti.
Non  molto concludente, altri paesi europei “ricevono” di più per esempio, ma cattivo. Abbastanza da far annullare la promozione della Regione Calabria presso la Niaaf, l’organizzazione degli emigrati italiani negli Usa. Con un danno di qualche milione, oltre che del progetto, non insensato. Non c’è partita. Il titolo, “Corruption is seen as a drain on Italy’s South”, diventa sul sito e sulla rete, imperituro, “In Italy, Calabria is drained by corruption”.

leuzzi@antiit.eu

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