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sabato 22 novembre 2014

La leggenda nera dell’Aspromonte

Un caso peculiare del racconto che crea la realtà: l’Aspromonte è vittima consenziente e quasi goduriosa del titolo che lo celebra. Cupo, afflittivo. Quasi verista in ritardo – e fuori delle corde di Alvaro. Si è imposto come un reportage, e come tale si rilegge – anche se solo nelle scuole. Creando una immarcescibile leggenda nera dell’Aspromonte, montagna gentile.
Ha segnato la narrativa meridionale, il genere se non sono brutti e sporchi non li vogliamo: i Rea, Scotellaro, Nigro, Jovine, Strati, molta Sardegna, lo stesso Silone come Alvaro cosmopolita. E molta narrativa post neo realista, Morante, Parise. Si fosse fermato a questi racconti, Alvaro sarebbe peraltro “l’eterno esule” che diceva Pampaloni. Tanto più per identificarsi, nel mezzo del racconto-romanzo del titolo della raccolta, nell’allievo del san Giuseppe de Merode, benché rifiutato dall’istituzione: il buon borghese del Risorgimento e l’Italia unita. Con la deprecazione d’uso: “In questo paese anche la pioggia è nemica”,  “È una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da piangere”. Tanto più, ancora, per essere forte scrittore. Ma, allora, uno che fa torto a se stesso, poiché ha altre frecce al suo arco.
 “Gente in Aspromonte”, prima di diventare il marchio d’infamia della montagna, era stato un grazioso elzeviro, il primo di Corrado Alvaro sulla “Stampa”, il 14 gennaio 1927, più in armonia con la natura dell’Aspromonte: un eremita e il suo aiutante sono beneficiari e vittime, con la forte ironia dei luoghi, dei portenti che promettono e non sanno produrre
Corrado Alvaro, Gente in Aspromonte

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