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venerdì 21 aprile 2017

La fede al tempo della miscredenza

“Se c’è una cosa tremenda a scrivere quando si è cristiani è che per te la realtà suprema è l’Incarnazione, la realtà presente è l’Incarnazione, e all’Incarnazione non ci crede nessuno; nessuno dei tuoi lettori, cioè. I miei lettori sono quelli convinti che Dio sia morto”. È la prima o seconda, tra quelle qui collazionate, delle trecento lettere che Flannery O’Connor scrisse ad “A.” nei suo ultimi dieci ani, a partire dal 1955. Lettere di fede e solitudine, a amici, letterati, critici. Molto dirette, decise (lei dice “umoristiche”), e molto sole, malgrado la rete di simpatie.
La simpatia andava alla sua scrittura, innovativa, e al personaggio. Una scrittrice famosa poco più che ventenne, isolata nela Georgia allora remota, cattolica in un mondo “religioso” ma ostile,  anticonformista per ogni aspetto, compresa l’assenza di ogni pulsione sessuale, e malata presto incurabile, di un lupus ereditario che la isola e la condurrà a morte poco prima dei quarant’anni. Parlava con un “pesante acento gerogiano”, ricordano i suoi compagni alla scuola di scrittura dell’Iowa University, al punto da rendersi incomprensibile.  Ha vissuto, presto orfana del padre, che avrebbe voluto fare lo scrittore, con la madre in una fattoria che questa ha ereditato a Milledgevile, la cittadina che ospita il manicomio statale della Georgia. Con rare incursioni al Nord, a New York (una cena memorabile è raccontata in casa di Mary McCarthy) e nelle università che la invitano. Occupa il tempo nlla fattoria allevando oche e pavoni. La madre, che le sopravviverà, è presenza costante della sua corrispondenza e con i rari visitatori, di vedute sempre in qualche modo anticonformiste per essere reazionarie. Ma di equilibrio inconsueto sulla questione allora dominante in Georgia, il rapporto con i neri, lavoranti, vicini.
Le lettere ad “A.”, la maggior parte di questa raccolta (gliene scrisse circa trecento in otto anni, lunghe), sono singolarmente sottili e confidenziali, aperte. E corpose, fertili di giudizio. Singolarmente perché “A.”  è Elizabeth “Betty” Hester, impiegata in un ufficio crediti di Atlanta, che scrive racconti e poesie, che non pubblica, soggetta a crisi religiose, di adesione e poi di ripulsa, dopo essere stata congedata “con disonore” dall’Aviazione, per pratiche lesbiche. Morirà nel 1998, di 75 anni, 34 dopo Flannery, suicida. Le due corrispondenti erano coetanee, Betty maggiore di due anni. Aveva cercato Flannery dopo aver letto alcuni suuoi racconti. “A.” andrà spesso a trovarla ala fattoria. La corrispdnenza con “A.” è anche unutile esposizione-esegesi dei suoi propri racconti e romanzi, nonché ella sua attività di conferenziera e giornalista.
La raccolta si può dire delle lettere ad “A.”, con contorno di missive sparse ai Fitzgerald, Robert e Sally, gli amici forse più intimi e costanti, presso i quali ha abitato, che ritrova anche in Italia, quando afronta il pellegrinaggio a san Pietro – e poi a Lourdes. Con Robert Lowell, suo collega a Yaddo, dove O’Connor fu accettata nel 1948, a 23 anni, come writer in residence, insieme con Alfred Kazin e Elisabeth Hardiwick. Con Katherine Ann Porter, Elizabeth Bishop, “i Gossett”. Con contorno di Marshall McLuhan giovane. E di Claudio Golier in un gustoso episodio, in visita alla fattoria e invitato a cena. Con altri letterati di minore nome, consociuti in precedenza all’università dell’Iowa, ai corsi di scrittura – dove veniva consigliato, a scuola di racconto, “Guerra” di Pirandello, insieme col “Lamento” di Cechov. Con letture disparate, ma semrpe di gusto preciso. Entusiasta di Nabokov, “I bastardi” e altro, perplessa su Pasternak. E sui beat: “Certe volte il loro picocl mondo bohémien è di un sentimentalismo ributtante”.
C’è anche Reagan. “Una produzione diretta da Ronald Regan (?)” compra i diritti di un suo racconto. Per un adattamento tv nel quale “forse R.R. interpreterà” il ruolo principale. Reagan lavorava in quegli anni anni per una seriet tv detta General Electric Theater, sulla Cbs, per la quale presentò 235 episodi, in 35 dei quali recitò. Il racconto acquistato dalla prodzuone è “La vita che salvi può essere la tua”. Lo sceneggiato poi si fa e va in onda, con grande successo locale, di amici, parenti e conoscenti. Ma non è dato sapere se Reagan si è limitato a presentarlo o ci ha recitato.
Un altro Sud
Flannery O’Conor è la scrittrice di un altro Sud. Dieci anni appena dopo “Via col vento”. Coeva di Faulkner, che apprezzava, e di Tennessee Wiliams e Carson McCullers che invece detestava – come tutte le specie di “intellettuali”, Mary McCarthy che l’ha invitata a cena, il “New Yorker”, etc.: contro l’”intellettuale” ha molte feroci battute, “intellettuale” è per lei sinonimo di fake. A Tennesseee Wiliams e McCullers addebita un Sud di cliché, anche se diverso da “Via colvento” . E di un altro mondo all’interno del Sud: il cattolicesimo che inalbera a ogni riga è un modo d’essere marginale al Sud dell’epoca. Savannah e la Georgia erano creazione di episcopali e luterani. Quindi di battisti e metodisti. I cattolici erano esclusi dagli statuti cittadini fino a fine Settecento. Poi considerati presenza aliena, come gli ebrei, e una delle tante sette, non riformata e non itinerante.
 “A.” l’ha cercata mentre avviava un percorso per entrare nella Chiesa – che abbandonerà cinque anni dopo. Flannery sarà per procura sua madrina di cresima. A. le pone con  insistenza il dubbio che non sia una “fassista”. Flannery ribatte che A. non è una “smidollata” ma una “romantica”. Con questa corrispondente, presto diventata amica in carne e ossa, dopo ripetute sue visite, che si penserebbe la più remota per ogni aspetto, Flannery stabilisce il rapporto più proficuo. Fino a
concederle: “Forse hai ragione tu a dire che l’uomo è una donna incompleta”.
“A.” vivendo a Atlanta, con accesso a più fornite biblioteche, Flannery comincia a legere: Walter Ong, il gesuita, amico di “A.”, Guardini, Teilhard de Chardin, Simone Weil - fino a possederne incredula, in dono in prestito, i corposi “Quaderni” – Edith Stein, che però non si traduce. Con “A.”  matura molte delle convinzioni personali in materia di religione che la caratterizzano, eretica e insieme dommatica. Alla luce della generale incredulità. “Incarnazione a parte, il concetto stesso dell’esistenza di Dio non sodisfa più sul piano emotivo un gran numero di persone, ma non per questo Dio cessa di esistere. Sartre trova Dio in sommo grado insoddisfacente sul piano emotivo e così la magior parte de miei amici di statura inferiore alla sua”. Ma “la verità non cambia” sul filo delle nostre emozioni. Succede anche ai santi, di trovare a volte la verità rivelata “detestabile, emotivamente molesta, totalmente ripugnan te”. È quella che si chiama “la notte oscura dell’anima” nei processi di beatificazione: “Al momento il mondo intero sembra attraversare una notte oscura dell’anima”. Del resto, “non si capisce perché gli effetti della redenzione debbano risultare evidenti quando non lo sono quasi mai”. A John Hawkes, lo scrittore sperimentale, spiega: “Il mio tema è sempre il conflitto fra l’attrazione per il sacro e una miscredenza nei suoi confronti che si respira con l’aria del tempo. Credere è sempre difficile, ma tanto più lo è al giorno d’oggi”
Tra Omero e umore
Inizialmente confessa poche letture. Anzi solo quelle dell’enciclopedia per ragazzi, sui miti gerci e romani, e “The Humerous tales of E.A.Poe”, a metà tra Omero e umore (qui tradotto “I racconti umorosi”). Rifiutando, qusto si sa dalle annotazioni che ha lasciato sulle sue copie, “Alice” e “Pinocchio” – sul risguardo di “Georgina finds Herslef”, di Shirley Watkins, si trova scritto: “Questo è il peggior libro che ho mai letto dopo ‘Pinnochio’”(sic)”. Un umorimo bislacco privilegiando, in queste annotazioni di Poe giornalista, che in effetti può essere la sua stesa cifra di lettura più coprente. La stessa Simone Weil, nella quale un po’ si riconosce, dice “comica e tragica”. Un’alegra impertinenza la sorregge per tutti gli anni coperti dalla racoclta, dal 1952 al 1964, quando è già semi immobilizzata. Sui pavoni e le oche. Sulla madre, battutista inarrivanle – nel viaggio a Roma e Lourdes “la preoccupazione di mia madre è dove trovare acqua potable da qwuelle aprti”. Sui lavoranti nell’azienda agricola della madre, neri e bianchi, tutti con qualche rotella fuori posto. “Io parto da un punto di vista comico”, scrive a John Hawkes, “indipendentemente da come lo risolvo”.,
Un’edizione che si avvale di una robusta introduzione di Ottavio Fatica. Ma senza, inspiegabilmente (nella raccolta originale c’è), un notizia dei corrispondenti – Flannery O’Connor è proprio sola.
Flannery O’Connor, Sola a presidiare la fortezza, minimum fax, pp. 269 € 12

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