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giovedì 20 aprile 2017

Letture - 300

letterautore

Aneddoto - “Gli aneddoti sono il passaporto di ogni morale e l’anti-narcotico di tutti i libri”, Balzac, “Fisiologia del matrimonio”, 29. Danno licenza di creare, più sveltamente che col ragionamento.

Arabesco - L’arabesco è la forma più antica e originaria della fantasia umana” - Fr.Schlegel. Da superare, quindi.

Barocco – È parente del romantico - A.Huxley, “Along the Road”. Barocco e romantico sono espressioni naturali della commedia: Aristotele, Rabelais, Nashe, Balzac, Dickens, Rowlandson, Goya, Doré, Daumier. Solo in mano a geni, Marlowe, Shakespare, Michelangelo, Rubens, il barocco ha effetti credibili.
In epoca più tarda l’effetto è grottesco: si tenta di esprimere il tragico con uno stile essenzialmente comico.

Beat - A Calvino non piacevano, troppo sporchi. È andato fino in America a vederli, e sempre non gli piacquero. Niente poesia, diceva, niente scrittura, Ginsberg, Kerouac, Ferlingehtti… I danni del partito sommando al borghese perbenismo.
Ma è vero che sono iperletterati. Troppo. E parlano sempre di sé. Della loro modesta bohème di provincia. Inventata. Truccata – non si esce dalle droghe. Nemmeno dall’alcol. Fanno letteratura freudiana senza saperlo, come in “In Treatment”.
Solo Ginsberg ha dirazzato, via religione. Col fake orientalismo di moda – fake perché Budda sarebbe la negazione dell’individualismo. Kerouac ci ha tentato - Kerouac che aveva a disposizione un  fondo cattolico, e l’ha lasciato intonso. 

Benedetto  XVI – Il papa “emerito” (pensionato) ha fatto lunedì i 90 anni, con altri quattro libri a lui dedicati, scrive Giuliano Vigini su “La Lettura”. È stato un fenomeno editoriale, attesta ancora Vigini, alimentando “un’imponente biblioteca, anche oggi editorialmente più che cospicua, visto che in commercio figurano ancora 586 titoli (420 testi e 166 saggi)”, suoi - libri, antologie, saggi, interviste - o a lui dedicati.

Berecche e la guerra – Il racconto “Guerra” di Pirandello, la cui letura dice utilissima per se stessa, è raccomandato da Flannery O’Connor ad altro scrittore esordiente, Ben Griffith, che le ha mandato da leggere un racconto, in termini molto calorosi nel 1955. Calorosi soprattutto per lei, una scrittrice che pretendeva di avere letto poco e pochissimo. Lo aveva letto in “Understanding Fiction”, un libro-manuale di scrittura dei tardi anni 1940, autori Cleanth Broks e R.P.Warren: “Leggendo il suo racconto, me ne son venuti subito in mente altri due che secondo me dovrebbe leggere prima di cominciare a riscrivere questo. La lettura dei due racconti è tata per me un aiuto prezioso e credo lo sarebbe anche per lei”.
O’Connor intende probabilmente il racconto “Berecche e la guerra”, datato “Roma, fine del 1914, principio del 1915”, ma pubblicato nel 1919. In cui Pirandello “un uomo di studio educato, come tanti allora, alla tedesca, specialmente nelle discipline storiche e filologiche”. Uno come lui insomma. E che, come lui stesso, abita in una traversa remota della via Nomentana, un po’ credendosi anzi tedesco: “La Germania, durante il lungo periodo dell’alleanza, era diventata per questi tali, non solo spiritualmente ma anche sentimentalmente, nell’intimo della loro vita, la patria ideale”. Non solo: “Vantava Federico Berecche, fino a pochi giorni fa, la sua origine tedesca, chiaramente dimostrata, oltre che dalla quadrata corporatura, dal pelame rossiccia e dagli occhi ceruli, anche dal cognome Berecche, corrotta pronunzia, a suo credere, d'un nome prettamente tedesco”.
Ma l’identificazione è soprattutto nell’autoanalisi, dell’Italiano tipicamente infatuato della Germania: “Lì tappato nel suo studio, che nessuno lo vede, Berecche si sente voltare il cuore in petto al ricordo di ciò ch’egli intendeva per metodo tedesco, al tempo dei suoi studii, al ricordo delle sodisfazioni ineffabili che esso gli dava quando con gli occhi stanchi della faticosa paziente interpretazione dei testi e dei documenti, ma con la coscienza tranquilla e sicura d’aver tenuto conto di tutto, di non essersi lasciato sfuggire nulla, di non aver trascurato nessuna ricerca utile e necessaria, palpeggiava, la sera, rincasando dalle biblioteche, là sul tavolino da studio, il tesoro dei suoi schedarii voluminosi. E tanto più si sente sanguinare il cuore, in quanto ora avverte con sordo livore, che per le sodisfazioni che gli dava quel metodo egli, sotto sotto, commetteva la vigliaccheria di non dare ascolto a una certa voce segreta della sua ragione insorgente contro alcune affermazioni tedesche, che offendevano in lui non soltanto la logica ma anche, in fondo in fondo, il suo sentimento latino: l'affermazione, per esempio, che ai Romani mancasse il dono della poesia; e, accanto a questa affermazione, la dimostrazione che poi fosse leggendaria tutta la prima storia di Roma. Ora, o l'una cosa o l'altra. Se leggendaria, cioè finta, quella storia, come negare il dono della poesia?” La Germania infine vedendo come un corpaccione spento: “Goethe, Schiller, e prima Lessing, e poi Kant, Hegel... Ah, quand’era piccola, quando ancora non era, la Germania, questi giganti! E ora, gigante, ecco qua, s’è buttata, pancia a terra, con le mani afferrate sotto il petto e un gomito qua, sul Belgio e in Francia, l'altro là su la Russia in Polonia: - Smovetemi, se siete capaci!”

Céline – “In Céline, se ben ricordo, ho sentito che nel suo sentimento della vita c’era profondità morale – o meglio, è quello che ha fatto sentire a me la sua opera” – cioè “Il viaggio” (Flannery O’Connor, “Sola a presidiare la fortezza, 106

Dialetto – È il presupposto di un miglior uso della lingua?  Keats, che scrive una delle forme più pure dell’inglese, parlava cockney. Flannery O’Connor, che ha molto sveltito l’angloamericano, con un accento della Georgia che sopra Washington la rendeva spesso incomprensibile.

Dostoevskij – “L’Idiota” come simbolo del Cristo è ipotesi già di Romano Guardini (numero autunnale di “Cross Currents”, saggio di R.Guardini, dicembre 1956 – call)

Gambe – Quelle delle donne hanno sostituito ogni altro richiamo. Per la novità, arguisce Lernet-Holenia per bocca di un personaggio di “Marte in Ariete”: “Perché una volta le donne non avevano certo gambe così graziose” – non avevano gambe. E porta a esempio l’Afrodite di Cirene, la statua adrianea copia di una copia di Prassitele, che abbelliva la sala Ottagona del’ex Planetario di Roma, ora restituita alla Libia. È una statua acefala, con poco petto, e tutta gambe, “che si ha ragione di supporre la famosa Anadiomene, creata da Apelle prendendo a modello un’amante di Alessandro Magno”, dice lo scrittore. Ma concludendo: “Le gambe di questa divina creatura non sono bellissime”.
Attraverso il suo personaggio, l’italianista e latinista Lernet-Holenia arguisce che anche le gambe di Elena, o di Frine, o di Procri “abbiano lasciato a desiderare: “Purtropoo era questo lo stile dell’epoca. Anche Alcibiade e Antinoo, del resto, difficilmente riusciamo a immaginarli in stivali da cavallerizzo”.

Giacobino – Esisteva prima della rivoluzione francese. È predicatore in Piron.

Henry James – Si direbbe antifemminista: l’autore di tanti personaggi femminili deprivava la “giovane donna del futuro” di ogni sensibilità in tema di mistero o di maniere.
La perplessità è della maniera – della “bravura”. Ma come di uno che non avesse mai avuto tentazioni, che in effetti non gli si conoscono.

Tacito – “In Tacito muoiono tutti avvelenati o suicidi”, Flannery O’Connor, “Sola a presidiare la fortezza”, 180. Ed è vero.

Viaggio “Finché non sarai partito non potrai neanche tornare”, Alexander Lernet-Holenia, “Marte in Ariete”.

letterautore@antiit.eu


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