Cerca nel blog

domenica 18 giugno 2023

L’etica del lavoro, o dello sfruttamento

Ci sarà un “dopo il lavoro”, un’era del tempo libero? Forse c’è già. Il lavoro a lungo è stato deprecato, era condizione servile. L’“etica del lavoro” nasce col tardo calvinismo, nei tardo Seicento – agli albori, andrebbe aggiunto, della rivoluzione industriale. E dunque si può cambiare.
Gandini, l’italo-svedese narratore documentarista di altre realtà, specie della “Videocracy”, prima del grillismo e dei talk-show tv, ci prova. Con semplici interviste, tagliate come se fosseri narrazioni degli intervistati, ma appassionanti.
Si parte col lombardo che a quaranta o cinquant’anni scopre che non gliene frega nulla della censura paterna, “datti da fare”, “non avrai un futuro”, e fa quello che sempre gli sarebbe piaciuto, potare. L’ereditiera, che cura i fiori, ferra il cavallo, fa sgambare il cagnetto, e beve volentieri un bicchiere sui bei divani della bella casa patrizia, con compagno altrettanto nullafacente, e entrambi sanno che non rubano nulla e semmai danno un contributo, piccolo, all’ambiente e alla società. Tra gli opposti. I coreani, vecchi e giovani, che lavorano sedici ore al giorno, sei giorni la settimana, due ore le perdono per il pendolarismo, una per mangiare e i bisogni, e dormono, male, cinque ore. O gli americani workaholic. Il promoter, motivazionista, che si sganascia dalle risate all’idea di sei o anche cinque settimane di ferie: un americano impazzirebbe, l’americano ama lavorare, l’etica è del lavoro – e ad altri aspiranti gestori del personale spiega che ai rilevamenti demoscopici nessun manager o imprenditore privilegia l’istruzione, pochi la puntualità e la socievolezza, mentre tutti vogliono dedizione. Con una filosofa, sempre americana, che spiega l’etica del lavoro calvinista. Per subito poi riposare su una poltrona soffice snodabile, che la mette comoda senza alcuno sforzo personale, con marito compiaciuto, tutto molto americano.  All’altro estremo i koweitiani, che sono pagati - tutti i cittadini koweitiani hanno diritto a un “lavoro” statale - anche quando non hanno nulla dafare, per giorni, settimane, anni.
Insomma, il lavoro se ne parla tanto da tanto, da un paio di secoli, ma non si sa che pensarne. Luca Ricolfi fa vedere in tabella che l’Italia ha il record dei fannulloni – ufficialmente neet, i “giovani” venti-trentenni che non lavorano, non studiano, non imparano un mestiere: sono uno su tre. E lancia un’ipotesi, che non è quella solita dell’Italia matrigna, che non offre un’opportunità ai suoi figli, ma esito della natalità bassissima da un trentennio: nelle famiglie ormai “cinesi” da due generazioni i figli, eredi di due genitori e quattro nonni, fanno gli “ereditieri”, anche se non hanno una magione di campagna, o non sanno accudirla.
Materiali ovvi, perfino scontati. Ma montati con sapienza, e con tagli, scorsi, illuminazioni invoglianti. C’è perfino Elon Musk, che si penserebbe uomo d’affari e di soldi, a ipotizzare “inevitabile,  necessario” un salario minimo mondiale. Che è, a ripensarci, non un’elemosina coatta, alla koweitiana, ma un misura minima contro il dumping sociale, di cui molte economie beneficiano, in Asia, in Africa e in America Latina, lo sfruttamento del lavoro.
Erik Gandini, After Work

Nessun commento: