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venerdì 16 gennaio 2009

Dopo Di Meo, Marchionne

Anche Marchionne è più spesso oltralpe che a Torino. Dove certo non ha molto da fare, con le fabbriche chiuse. E l‘impossibilità di negoziare una via d’uscita alla crisi col governo, come fanno i suoi omologhi in Europa e in America. Ma alla Fiat si fiutano novità: la posizione di tecnico va stretta all’amministratore delegato, che non lo ha detto a nessuno, non è suo costume, ma è palesemente distaccato. Fa il compitino, ma non trova soluzioni, e non le cerca.
Il malessere non è solo di Marchionne. Altri manager giovani hanno condiviso l’inquietudine di Di Meo, anche se l’uscita di quest’ultimo sembra averli quietati, favorendo il movimento delle carriere. La fuga del delfino designato, di appena quarant’anni, per un futuro incerto in Germania, è solo conferma del disagio del management. Altre avances a Marchionne non si conoscono. Si può immaginare che non saranno nell’auto, poiché lui stesso ha escluso di poter ripetere l’esperienza di Fiat. Ma era un manager finanziario, le opportunità non gli mancheranno. Si sa che aveva una posizione riservata all’Ubs, l’Unione di banche svizzere, che aveva rifiutato. Ma, alla sua maniera diretta e semplice, non è più molto legato a Fiat Auto.
Si può capire. Marchionne ha fatto il miracolo di riportare Fiat Auto sul mercato, con conti eccezionali, e con un’ottima immagine commerciale, e non intende fare ora da perdente. Il distacco di Marchionne sarebbe partito a dicembre, quando una sua quasi ovvia richiesta di intervento pubblico per il mercato dell’auto fu rimandata da Tremonti seccamente a Bruxelles. I contatti politici non sono di competenza sua, ma della presidenza, Montezemolo e Elkann. Il risultato è che la Fiat è isolata, e a Marchionne questo non piace: questo lo avrebbe anche detto, in più occasioni in azienda.

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