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venerdì 10 luglio 2009

La scoperta della globalizzazione

Sotto il nome di globalizzazione è criticata dai filosofi e rifiutata da molti, non solo dai no global. Ma nel fatto c'è una verita inoppugnabile: l'irrompere dei dannati della terra, i miliardi di essere umani dell'Asia, dell'Amerca Latina e dell'Africa, fuori dall'innocuo Terzo mondo, da tacitare con gli aiuti, a comprimari del mercato mondiale. Una sorta d'invasione di campo, se si vuole, del mercato ristretto fino a venti anni fa a un miliardo, al massimo, di cittadini del monodl quelli dell'Ocse, o paesi industrializzati. L'accettazione all'Aquila di questa realtà, compresi i Gheddafi e gli Zuma, sancisce un mutamento talmente radicale che sa di miracolo, se solo si ritorna indietro appunto di venti anni: non c'è economia, non c'è commercio, non c'è finanza, se non inseme con l'Asia, con l'America Latina e con l'Africa. Con alcuni di più, con altri di meno, specie in Africa, e tuttavia il mercato è per tutti. Il Brasile si può definire, che solo venti anni fa era sotto l'incubo dei militari, un paese industrializzato. O il Cile. O il Perù, che ha il più lungo periodo di crescita della storia dei cicli economici. La Cina ha il più alto tasso di sviluppo del mondo, l'India eccetera. Con un salto anch'esso molto alto nel rispetto dei diritti umanitari e sociali, senza più sfruttamento della manodopera infantile, con retribuzioni non più di fame.
Più della caduta del Muro ha segnato l'epoca Tienanmen, l'inizio della globalizzazione. Quando gli Usa decisero di non perseguire gli antichi nemici cinesi sui diritti umani e anzi di giovarsene per una nuova ondata di prosperità economica basata sui bassi costi. Un obiettivo non contestabile e anzi buono, benché implichi l'abbandono di molte posizioni acquisite, salariali e d'impiego della forza lavoro, in Europa, negli Usa e negli altri paesi industriali. Il ribaltamento delle posizioni acquisite è avvenuto all'insegna della libertà e del progresso di miliardi di asiatici – e non è detto che l'abbattimento delle barriere sindacali non sia stato un bene per tutti.
L'America questo lo ha subito capito, d'istinto – è il West a livello mondiale. L'Europa no. L'Italia sì, ha capito che non ci sono più gli alti salari di una volta, né la sicurezza del posto, e imbarca tutta la forza lavoro al limte della sussistenza che le riesce, portando l'economia nera da un quinto a un terzo del totale. Ma la sinistra italiana no, e gli intellettuali meno degli altri. Si fa l'elogio dei no global, che non rappresentano nessuno, come se fossero la coscienza del mondo

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