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lunedì 18 febbraio 2013

Il deserto vivente di Moravia

Ha anche lui il “lucus a non lucendo” caposaldo di Heidegger, ma come “detto latino sulla foresta”. Della quale protagonista non è l’albero, ma la liana. Moravia, che “si viaggia nel tempo”, dice, “non nello spazio, ogni viaggio è un’epoca”, è sempre esploratore freddo: la sorpresa vuole ovvia. E quindi è autore da scoprire, malgrado tutto? Come scrittore onesto.
Il deserto è luogo metafisico. Il deserto è morte – si può viaggiare dunque nella morte e tornarne. Le nostre città sono miraggi, mortuari. Il miraggio è la morte che si tramuta in vita. Il deserto è il luogo privilegiato dell’immaginazione e dello spirito”. Non si sa non seguire Moravia, anche se come compagno di viaggio non dev’essere stato divertente. La pista nel deserto è una metafora della vita umana. L’erosione lavora con un’intenzione caricaturale. La caricatura della creazione divina della terra, come la Genesi la presenta, con quel mondo vivo, bello e completo che emerge dal nulla.
In Africa tutto è possibile, e Moravia non si fa mancare nulla. Invitato dal sultano di Agades, aspetta un’ora in anticamera, tra africani insolitamente muti, per poi scoprire che il sultano non c’è. O gli abitanti del lago che sono pastori. Il gusto lascia amaro che non abbia osato: parco e ovvio per essere disilluso. Anche un po’ cinico.
Alberto Moravia, Lettere dal Sahara

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