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martedì 25 giugno 2013

Il Far West a Milano

Milano vuole la sua giustizia una ghigliottina, ma non ha nulla dell’orrida grandezza del terrore. Al contrario, è selettiva. È non ha un disegno politico ma di potere. Di piccolo cabotaggio ma bieco: il potere degli affari, che come le mafie sempre si mordono tra di loro.
Per un Berlusconi condannato, che non ha rubato nulla a nessuno e non ha mai licenziato nessuno, quanti robber barrons accertati, mai indagati o subito assolti: Umberto Agnelli, Romiti, De Benedetti, Colaninno, Gnutti, Tronchetti Provera, Moratti, la Rizzoli-Corriere della sera, le banche, grandi, medie e piccole. C’è sempre stata a Milano la libertà di rubare – “i soldi entrano in Borsa”, diceva Mattioli a Piovene nel 1957, celiando ma non del tutto, “e non si sa dove finiscono”. Da Mani Pulite, un quarto di secolo ormai (Mani Pulite cominciò col falso processo a Sofri nel 1989), con buona coscienza, impunità garantita dal palazzo di Giustizia, e poteri d’interdizione totali, sull’opinione e la politica.
In particolare Milano si è impossessata gratis degli ex monopoli pubblici, e dei banchi meridionali, Banca di Roma, Banco di Napoli, Banco di Sicilia. Azzoppando poi la Banca d’Italia, quando il governatore Fazio pretese di regolare infine le banche popolari, il fiume del sottogoverno lombardo – pronta la Procura lo ha azzoppato. Ora punta agli affari piccoli, quelli di Berlusconi.
È difficile non vedere che a Milano la giustizia è una resa dei conti tra bande. Il prossimo passo sarà la condanna di Berlusconi a pagare De Benedetti per aver salvato la Mondadori dal fallimento e la spartizione delle sue attività - di una parte dei suoi affari, le case editrici e la banca-assicurazione. Ma di più angoscia il peso enorme che questa città corrotta in ogni fibra ha preso sul nostro destino. L’immoralismo di Berlusconi, l’unico sanzionato dalla legge, è peccato minore a Milano. Dove si fa commercio di modelle, di droga, di riciclaggio, di cure sanitarie, senza mai un solo atto di contrasto.

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