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sabato 25 aprile 2015

Secondi pensieri - 215

zeulig

Amore – È bellezza, e viceversa. È la bellezza del tutto: è in questa identificazione che sorge il desiderio.
L’amore fisico può essere attrazione di un ceto canone di bellezza. Ma non definito, e non risolutivo, altre  sono le forme di attrazione: l’intelligenza, lo sguardo, la voce, il portamento, lo humour, la passione, la tristezza, la letizia, la generosità. Tutto ciò che fa il mondo: è bello ciò che innamora, e l’amore è del bello – del mondo, del creato. Si può rileggere la letteratura intorno alle forme dell’amore, da Omero a Joyce, a Pound, allo stesso Proust , e si troverà questo rapporto costante, nelle metafore, le similitudini, le aggettivazioni, gli attributi.
È il motivo per cui l’amore non può essere che eterno: caduco ma non condizionato. È questa identificazione il fondamento del matrimonio, prima che la procreazione – che può peraltro farsi come un semplice fatto tecnico.

Corpo – È materia. E la materia non può peccare - la materia è per definizione passiva, il peccato è esercizio di volontà. Si può anzi dire la materia effetto incondizionato della volontà di Dio.
Ciò contrasta con la pratica del peccato, che si identifica col corpo quasi esclusivamente. E allora il concetto di peccato rasenta la bestemmia – la coltiva, se ne sostanzia?

È oggetto a partire dal primo Maggio di una tre giorni di studio e festa all’Eremo di Fonte Avellana, al centro dell’Appennino tosco-marchigiano: “Nel cuore del corpo: estasi, parole, passioni”. Con relazioni, reading e performance, di autori, attori e danzatori. Tra i relatori lo stesso priore di Fonte Avellana, Gianni Giacomelli. Tema dell’“incontro” è: se l’Io è anzitutto un essere corporeo, come scrive Freud, parlare del corpo per parlare dell’Io. Trasgressione doppia?
L’eremo, che Dante voleva “disposto a sola latria” (“Paradiso”, XXI, 111), è dei camaldolesi. Ordine da qualche tempo di frontiera della chiesa, nel dialogo tra le fedi, etc.  Si apre un dialogo con il corpo?

Laicismo – “L’idea laica, in sé, è del tutto falsa”, argomenta Simone Weil nelle “Forme dell’amore implicito di Dio”. A meno che non si tatti di combattere “una religione totalitaria”, quali ce ne sono state, e ce ne sono, “la separazione fra istituzioni civili e vita religiosa sarà un delitto”.

Matrimonio – È naturale e non convenzionale, contrariamente all’opinione corrente. È implicito nella natura dell’amore, che è riconoscimento reciproco prima che promessa. E per ogni membro della copia un’immedesimazione col senso (la bellezza) del creato. Simone Weil ne fa a freddo – prototipo della single – la filosofia più conclusiva (“Forme dell’amore implicito di Dio”, in “Attesa di Dio”): “L’obbligo del matrimonio, oggi tanto spesso considerato una semplice convenzione sociale, è implicito nella natura stessa del pensiero umano, data l’affinità tra amore fisico e bellezza. Tutto ciò che ha un qualche rapporto con la bellezza deve essere sottratto al corso del tempo. La bellezza è l’eternità in questo mondo”.

Necessità – È espressione dell’incertezza, e forse del vuoto – del timore del vuoto, che è lo stesso. Una chiusura delle prospettive di vaghezza, di scelta multiple inesauribili. Puntuale, temporanea, non risolutiva, nella partenogenesi interminabile dell’universo.
“La domanda di Beaumarchais: «Perché queste cose e non altre?»”, argomenta Simone Weil (“Forme implicite dell’amore di Dio”, in “Attesa di dio”), “non ha mai risposta perché l’universo è privo di finalità. L’assenza di finalità è il segno della necessità. Le cose hanno cause, non fini. Coloro che credono di scorgere cause particolari della Provvidenza assomigliano a quei professori che, a spese di una bella poesia, si mettono a fare ciò che essi chiamano commento del testo”.
Beaumarchais è Figaro, al terzo atto del “Matrimonio”: “O bizzarra serie di avvenimenti! Com’è successo? Perché queste cose e non altre?” Per concludere, uno “costretto a percorrere la strada in cui sono entrato senza saperlo”: “Tutto ho visto, tutto fatto, tutto usato” – l’usato che usa, o “fare di necessità virtù”.

Partito – Ha riempito per molti pensatori, nel Novecento, l’orrore del vuoto. Da Sartre a Althusser, a Colletti e Negri, allo stesso Heidegger. La categoria dell’ “impegno” politico, analoga alla carità delle opere di carità: coinvolgenti e esaustive, fine a se stesse. Del vuoto che però sarebbe per gli stessi l’esercizio filosofico.

Vuoto – È la filosofia secondo Althusser, un campo di esercitazione in cui non succede niente, e niente realmente muta. Il che non è vero – è materialmente (chimicamente, fisiologicamente) impossibile: il più trascurabile pensiero è un evento e un trauma. E come ciò che non è possibile nel mondo fisico (l’aristotelico “la naura aborrisce il vuoto” non è realmente contestato)  sarebbe possibile in quello psichico, così produttivistico, ben più di quello fisico? Althusser arrivava al vuoto del pensiero sul presupposto di un “inizio assoluto”, avendo ridotto il suo Marx, come tanti, a un escatologo praticone, del paradiso di qua. E di un “processo senza soggetto” – il soggetto doveva essere collettivo, la classe ( il vuoto sarebbe dunque la classe?).

Singolare è che Althusser proponeva a prototipo di pensatore nel e del vuoto Machiavelli – nel corposo “Machiavel et nous”. François Matheron, che del filosofo è una sorta di esecutore testamentario, lo rileva in “La recurrence du vide chez Louis Althusser”: “Il testo di «Machiavel et nous” è letteralmente invaso dal vuoto: vuoto della congiuntura italiana, e senza dubbio in filigrana vuoto di ogni congiuntura; vuoto del soggetto chiamato dalla teoria a riempire il vuoto della congiuntura; vuoto inscritto al cuore di ogni analisi della congiuntura; vuoto prodotto nella teoria dal semplice fatto di pensare in termini di congiuntura; «salto nel vuoto teorico»  effettuato da Machiavelli”. Dallo scrittore e pensatore per antonomasia “realista”, perfino pratico.

zeulig@antiit.eu

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