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lunedì 7 novembre 2016

Il risentimento divide gli Usa

C’è da fidarsi dell’Fbi? Angela Davis era nel 1970 “uno dei dieci criminali più ricercati dell’Fbi”. E ricercata, diceva l’avviso, “per omicidio, rapimento di persona e cospirazione, molto probabilmente
è armata” - come dire: “si può ucciderla a prima vista”. Mentre non era armata, e non aveva fatto nulla – infatti non fu condannata, benché imprigionata a lungo. Era solo un’assistente universitaria,
licenziata da Reagan, che da governatore aveva poteri sull’università di California.
Prefazionando l’“Autobiografia” alla riedizione nel 1998, a 25 anni dalla prima pubblicazione, Angela Davis la giustifica, ancora vergognosa di averla redatta ad appena 25 anni, come un quadro degli Stati Uniti negli ultimi anni 1960. E questo è a rileggerla, tanto più alla vigilia di questa elezione presidenziale: gli Stati Uniti non sono nuovi alla paranoia del complotto, non è una novità dopo l’11 settembre, o ora con Trump. Angela Davis fu incriminata e carcerata nella California di Ronald Reagan, C’è stato un Reagan nella storia degli Stati Uniti - di cui Trump è una fotocopia, anche stinta: eversore di ogni legge sociale, nemico di ogni sindacato, amico dei ricchi. Gli Stati Uniti hanno la memoria corta, che ora s’indignano del candidato repubblicano.
Questa “Autobiografia” è in realtà la cronistoria della militanza afro e comunista, a partire dal 1967, la latitanza, la prigione e il processo per terrorismo e strage, l’assoluzione. Una testimonianza di una certa America, non remota. Con pochi tocchi personali. Di famiglia nera borghese di Birmingham, in Alabama, era cresciuta nella segregazione (trasporti pubblici, caffè, cinema, ristoranti, negozi, biblioteche, scuole),  in una scuola per neri peraltro violenta, con scazzottate e coltellate, anche mortali. Ma con frequenti vacanze in California e a New York, dove un’altra America era in gestazione. A quindici anni già a New York, in una scuola integrata al Greenwich Village.
Sarà rapidamente borsista alla Brandeis University, desegregazionata, in Massachusetts, iniziata da Marcuse in lezioni private alla filosofia, laureata in francese alla Sorbona, quindi in filosofia a Francoforte, dopo aver studiato con Adorno, Horckheimer, Oskar Negt et al.. Con Adorno aveva concordato una tesi di dottorato, ma poi decise di tornare, anche perché Marcuse, licenziato dalla Brandeis per motivi politici, l’aspettava come collaboratrice all’Ucla di San Diego. Sulla via del ritorno, in una sosta a Londra, partecipa al convegno “Dialettica della liberazione”, una tre giorni che Marcuse e Stokely Carmichael agitano. Carmichael è il Black Power, Angela Davis ne è subito parte. Sarà una delle più agguerrite attiviste nere per i diritti civili, anche come membro attivo del partito Comunista Usa.
In rapporto affettivo col più giovane dei fratelli Jackson, Jonathan, sarà incriminata per favoreggiamento e fornitura di armi per l’irruzione che  Jonathan fece il 7 agosto 1970 nel tribunale di San Rafael in California dove si processava il  fratello George, capo delle Pantere Nere, con altri membri del gruppo. Jonathan aveva preso in ostaggio il giudice e alcuni membri della giuria, e l’attacco si era chiuso nel sangue: morirono Jonathan e alcuni ostaggi, tra essi il giudice Harold Haley. Una delle armi di Jonathan, una pistola, risultò intestata a Angela Davis, che fu incriminata con capi d’accusa che contemplavano la pena di morte.
Il suo caso coinvolse nel 1970-1971 il mondo intero. Militante comunista dichiarata (almeno fino al 1991: abbandonerà il partito solo allora, e solo perché il partito si era schierato per il colpo di Stato contro la perestrojka), Mosca mobilitò il suo apparato d’informazione per sostenerne il caso. Castro la ospiterà per alcun mesi a Cuba dopo la liberazione, per consentirle di scrivere questa memoria in forma di autobiografia. Nel 1978 sarà premio Lenin per la Pace. Ma il caso di Angela Davis, bella, alta, molto afro e insieme mezza bianca, alla Obama, fu di risonanza internazionale anche al di fuori della propaganda. In Italia un componente del Quartetto Cetra, allora agli ultimi bagliori, Virgilio Savona, fu uno dei suoi più attivi sostenitori. Al Quartetto Cetra si deve anche una canzone in suo onore, “Angela”, 1971. Altre ne seguiranno, un’“Angela” di Lennon e Yoko Ono, e “A Sweet Black Angel” dei Rolling Stones.
Il libro narra questa vicenda. Esemplare anche del vetero comunismo. Scritto a Cuba, ospite di Castro. Dove era stata in viaggio di formazione nel 1969, entusiasta – aveva fatto anche la zafra, per un giorno, rischiando il collasso… Il resto, il più, è burocrazia di partito, di cellula: mozioni, divisioni, scomuniche, ritrattazioni. Di un’ingenuità sconcertante, per una filologa, una filosofa, e una donna d’azione – Adorno, è notorio, subiva il fascino delle belle ragazze, e Marcuse?

Pieno anche di pregiudizi, non abbandonati nel tempo. Contro  l’omosessualità, che le carceri separate praticamente imponevano ai carcerati. O contro il femminismo: Angela si dice “fermamente contraria …. allo slogan femminista «il privato è politico»” – trent’anni dopo più permissiva, scriverà nella prefazione 1988. Un libro d’epoca. Ma si rilegge con interesse per il clima da caccia alle streghe che il movimento radicale nero incontrò negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni 1960. 
In filigrana, è un libro di risentimenti. La scia di rivalse che impedisce di normalizzare il rapporto tra le comunità, di sottilizzare, se non di cancellare, il colore della pelle in una storia pure comune, e un destino unitario. Come si vede anche in questi anni, che gli Stati Uniti sono stati governati da un presidente nero, ma le polizie sparano al nero a vista, alle spalle. I Neri e i Bianchi sono anche per Angela Davis mondi a parte. E quando qualche Bianco è dalla sua parte, lo registra come un caso, anche con apprensione. 
Angela Davis, Autobiografia di una rivoluzionaria, Minimum Fax, pp. 495 € 13

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