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venerdì 31 gennaio 2020

La democrazia vuole un playmaker


L’“uomo forte” Salvini è naufragato per una minuzia: citofonare un bravo ragazzo, con codazzo di tv e media vari, per accusarlo di spaccio, solo perché figlio di un tunisino? Allertato da una vicina e da un carabiniere che non amano “i negri”? Forse no, forse ci sono dei limiti alla crescita della Lega, peraltro ancora inspiegata. Ma forse sì: la politica si basa su percezioni, non su calcoli.
Muovere la piazza su spinta di uno dei tanti solitari che incontriamo a blaterare sui mezzi o al mercato è un limite. Di personalità, di mentalità, di cultura, e di consulenza remunerata, di consigliori. Demenza consigliare una provocazione sulle turbe di sconosciuti, demenza montarla. Si capisce che l’uomo non ha la stoffa, neanche del politico cinico vecchio stampo (si fa ancora caso del “nuovo”, benché inerte): nessun politico sarebbe andato al traino di una donnetta – avrebbe pensato che gliela mandava il nemico, una provocazione.
Ma l’“uomo forte” occupava, e ancora occupa, una forte rendita di posizione. Il bisogno di governo è tale che si adatta a chiunque, basta occuparsi dei problemi reali. Anche sbagliando. La democrazia si anima come lo sport, con i playmaker.

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