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mercoledì 29 gennaio 2020

Il mondo com'è (393)

astolfo


Accerchiamento – Diventa decisivo nell’arte militare, in alternativa all’attacco frontale, con la battaglia di Annibale a Canne. Riferimento costate di tutti i manuali di arte bellica. I principi della strategia e tattica militare sul campo sono in effetti inalterati da millenni. La tattica di Annibale è assunta su questo presupposto: l’obiettivo non è il fronte avverso, essenziale è attaccare sui fianchi, e poi colpire il nemico da dietro.

Antiamericanismo – C’era già ai tempi di Gramsci. Se nei”Quaderni del carcere” lo annota così: “L’antimericanismo è comico, prima di essere stupido” (“Quaderni”, V, 105)

Brexit – Interviene a un secolo dalla celebrazione dell’impegno britannico in Europa con la Grande Guerra – un impegno di massa e al fronte, diverso da quello antinapoleonico due secoli fa. A  centodieci anni dalla celebrazione a Londra, alla presenza dei regnanti di tutta l’Europa,del funerale di Edoardo VII, detto “lo zio d’Europa”. In senso diplomatico, poiché aveva creato l’Intesa con la Francia, e in subordine con la Russia. E in senso proprio, spiega Barbara Tuchmann, che fa l’elenco delle parentele dei regnanti inglesi aprendo “I cannoni d’agosto”: “Era lo zio non solo del kaiser Guglielmo ma anche, attraverso la sorella di sua moglie, l’imperatrice vedova Maria di Russia, dello zar Nicola II. La sua propria nipote Alix era la zarina; sua figlia Maud era la regina di Norvegia; un’altra nipote, Ena, era la regina di Spagna; una terza nipote, Marie, stava per diventare regina di Romania. La famiglia danese di sua moglie, oltre a occupare il trono di Danimarca, aveva generato lo zar di Russia e fornito regnanti a Grecia e Norvegia. Altri familiari, progenie in vari grado dei nove tra figlie e figli della regina Vittoria, erano disseminati in abbondanza nelle corti d’Europa”.
La storica americana spiegava, 1962, anche l’ambivalenza: “Nei suoi nove brevi anni di regno”, del Re socievole, del Re charmeur, “lo splendido isolamento inglese aveva ceduto il posto, per la forza delle cose, a una serie di “intese” e legami, ma non ad alleanze – all’Inghilterra non piace il definitivo”.

Collapsologia – È la “nuovissima filosofia” in Francia. Elaborata attorno all’istituto Momentum, di cu sono fondatori e teorici Yves Cochet e Agnès Sinai. Cochet, matematico di formazione, è un politico del movimento dei Verdi. È stato deputato in tre legislature, dal 1997 al 2011, deputato europeo alla terza e ala settima legislatura, ministro dell’Ambiente per un anno, 2001-2002, nel governo socialista di Lionel Jospin . Promotore delle produzioni bio e teorico della decrescita. Convinto del rischio di “collasso permanente” della civiltà. Specialista dell’esaurimento delle riserve energetiche fossili, specie del petrolio (una “Pétrole apocalypse” prediceva nel 2005). Fautore del controllo delle nascite, contro la politica francese d’incremento demografico. Anche, aggiunge ora, “per permettere agli occidentali di accogliere meglio i migranti”. Programma una moratoria sull’allevamento intensivo, e una serie di misure per ridurre il consumo alimentare di origine animale. Vive, spiega in tv, “trincerato nella campagna a Nord di Rennes per prepararsi al collasso che ci arriva in pieno muso”. Ma è stato citato dal settimanale “The Sunday Times” (22 ottobre 2017) tra i parlamentari europei sospettati di molestie sessuali – “una dozzina di giovani assistenti intervistate accusano i parlamentari di palpeggiamenti e persecuzioni («ci trattano come carni»)”.
Agnès Sinaï teorizza la fine della civiltà con la riduzione della biodiversità.

Kaiser – L’ultimo kaiser, Guglielmo II, della Grande Guerra e il tramonto della Germania, era mezzo inglese e tutto anglofilo. Presenziò in prima fila nel 1901, in lacrime, a piedi, al funerale della regina Vittoria. Di cui era nipote, per parte di madre. Dopo averla assistita per settimane moribonda - un fatto che aveva commosso gli inglesi.
Diresse poi il funerale dello zio Edoardo VII, il successore di Vittoria – benché Edoardo avesse, discreto ma perseverante, tessuto la rete dell’Intesa anti-tedesca - corteggiando anche l’Italia. Di Edoardo aveva detto a Theodore Roosevelt: “È un vero inglese e odia tutti gli stranieri, ma non mi preoccupa fin tanto che non odia i tedeschi più degli altri stranieri”. Alloggiato per il funerale al al castello di Windsor, negli appartamenti di sua madre, ne scrisse in questi termini: “Sono orgoglioso di dire questo posto casa mia,e di essere un membro di questa famiglia reale”. Colonnello onorario del primo reggimento Dragoni Reali, usava in gioventù distribuire sue foto nell’uniforme dei Dragoni, facendo precedere la firma dal detto presuntamente delfico, “aspetto il mio tempo”.
Gli Stati Uniti non rientravano nel suo orizzonte, ma la tedesca Pennsylvania gli tributo la laurea honoris causa - che gli revoco solo a fine 1918, a guerra perduta.
Concepiva sempre grandi disegni, di imperi e regni. Nel 1904 invitò Leopoldo del Belgio a Berlino e illustrò lungamente, “nella maniera più cortese del mondo”, dirà il re belga, gli antenati gloriosi di Leopoldo, i duchi di Borgogna. Finendo col proporgli la restaurazione del ducato, mettendo insieme mezza Francia, l’Artois, le Fiandre francesi e le Ardenne – “mi lasciò a bocca aperta”, dirà Leopoldo.
Ranuccio Bianchi Bandinelli, germanista oltre che archeologo, che gli fece visita durante il Ventennio, lo ricorda nel “Diario di un borghese”, in esilio in Olanda ma sempre sul Reno. La Germania, racconta Bianchi Bandinelli, aveva un principe buono, Federico III, amico della Francia, che però morì dopo 99 giorni di regno. Guglielmo II, che amava Watteau, Puccini e la Sicilia, esordì apprezzabilmente: licenziò Bismarck, e Zanzibar cedette agli inglesi in cambio di Helgoland. Apprezzato a Londra per il sense of humour, spiegò al “Daily Telegraph” in un’intervista a puntate che la guerra voleva farla al Giappone. Per la Cina.
Bismarck aveva modellato la Germania come una grande Prussia. Avrebbe potuto essere meglio una Grande Italia, piena com’era di emigrati di ritorno, contadini, artigiani, campanili, palazzi, nobiliari e mercantili, città libere e città capitali di vecchi principati, con musei e piazze, benché vuote di naiadi, e maestri di cappella. Prima di Bismarck c’era la Prussia e c’erano gli altri. Non solo a Colonia e a Monaco, tra i cattolici devoti.. La Prussia non c’era neppure a Danzica, e da poco era a Königsberg, che a lungo fu città libera.
I tedeschi erano prolifici, ma vivevano per due terzi in paesi di duemila abitanti e meno. Il kaiser amava questa Germania non prussiana, ma con la sferza. Anche se un braccio aveva anchilosato. In esilio in vecchiaia, dopo aver distrutto la Germania e l’Europa, segava legna: per esercitare il braccio buono faceva ciocchi degli alberi del parco. Circondato sempre da affetto e rispetto. Nel treno con l’argenteria i tedeschi gli avevano mandato una collezione di dodicimila foto. Invisibile, non c’è spazio nell’occhio per dodicimila immagini, ma consolatoria.
Lo stesso “vento di soave” siculo Guglielmo giovane aveva prussianizzato. Bordeggiando la Sicilia su uno yacht monumentale, essendo egli un Hohenzollern, forse in omaggio alla Triplice, o per indispettire i francesi che col binocolo lo controllavano da Tunisi, restaurò la tradizione sveva nell’isola col culto del “vento di soave”: nella sua bontà, ambiva a farsi amare dai siciliani, nobilitandoli con ascendenze nordiche. “Ancora ieri”, scriverà a fine 1918 “Junius”, Luigi Einaudi, prendendo, inavvertitamente?, lo pseudonimo di Rosa Luxemburg, “con implacabile tracotanza, il segretario tedesco agli Esteri von Kuhlmann invocava la tradizione imperiale degli Hohenstaufen e le loro bramosie di terre italiane”.
Nel 1933, in visita al kaiser esiliato a Doorn, Bianchi Bandinelli ci trovò un nipote, secondo figlio del Kronprinz, che così descrive: “Giovanotto dall’aria tra il romantico e il vizioso, tornato da poco dall’America, dove dice di aver lavorato da Ford”. Era Luigi Ferdinando, che aveva passato cinque anni a Dearborn, la prima fabbrica del vecchio Ford, sempre più antisemita. Il kaiser parlò per tutto il pranzo, nel silenzio generale, solo interrotto dal nipote che prendeva in giro un generale, “un vecchio generale intagliato nel legno”, il quale non ribatteva. Alla Mahlzeit, l’ora del sigaro col cognac, il ricordo dello storico Beloch, del suo vezzo di frapporre fra il lavoro serale e quello della mattina una lieve sbornia di vino genuino, “dà lo spunto a una serie d’allusioni all’indirizzo del nipote, che sembra un gran costruttore di tali intercapedini serali”. Il Parlamento nazista si apriva quel giorno a Potsdam, “sacra alle memorie del grande Federico e cittadella dei fedeli della monarchia”, che Hitler maltrattò.
“La cosa che mi ha più impressionato”, scrive Bianchi Bandinelli, “è la stretta parentela intellettuale fra il kaiser e Hitler”. Ma è dubbio che Guglielmo avrebbe tollerato il Führer. Era stato studente a Bonn, cinquant’anni dopo Marx, iscritto allo stesso club aristocratizzante di studenti nel quale Marx aveva militato, il Borussia. Nonché modernizzatore della Germania ingessata di Bismarck, e del mondo arabo, cui portò la ferrovia fino a Baghdad, e riformatore della scuola. Nel 1900, col nuovo secolo, introdusse l’inglese in tutte le scuole, e il liceo inglese o scientifico. Non fece il colpo di stato che il principe ereditario Eugenio chiedeva contro i socialisti nel 1912, quando vinsero le elezioni. Solo il quartogenito Augusto Guglielmo sarà nazi in famiglia, modesto. C’era insomma di peggio. La guerra avrebbe fatto in odio ai suoi parenti inglesi, i Sassonia-Coburgo-Gotha, che nell’occasione si ribattezzarono Windsor: è possibile. Di fatto, secondo tutte le testimonianze, non era sicuro di voler fare la guerra alla Francia, di nuovo.  

astolfo@antiit.eu

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