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giovedì 30 gennaio 2020

La Grande follia della Guerra

Una storia vecchia, del 1962, ma è la più nuova della Grande Guerra, il “suicidio del’Europa”, di cui si sono da poco ultimate le celebrazioni – tradotta a suo tempo da Bompiani ma bizzarramente non riproposta. Pur coprendone solo il primo mese. Che fa precedere da ritratti succosi dei suoi protagonisti, regnanti e generali, nelle loro albagie e idiosincrasie, quasi tutti ricostruiti con i propri detti famosi o ricordi.
Minuzioso, dettagliato ma ben raccontato. I capitoli introduttivi non lasciano alternative: la guerra non fu casuale, era preparata da tempo, da tutti gli Stati maggiori e da tutti i governi, Francia, Germania, Russia, Austria-Ungheria, Inghilterra. E data per scontata – Bismarck ne aveva previsto anche l’innesco: “qualche dannato stupido affare nei Balcani”. Solo il momento era incerto.
Il capitolo finale, attorno all’occupazione mancata di Parigi, che consentì alla Francia la controffensiva, umanizza la Germania: anche il soldato tedesco si rifiuta di marciare, quando è stanco.
Le confessioni involontarie dei protagonisti convergono, anche quando sono spiritose o autocritiche, verso la follia – Barbara Tuchmann svilupperà questo aspetto nelle monografie de “La marcia della follia”, da Troia al Vietnam: la guerra, anche scientifica, preparatissima, studiatissima, è sempre un azzardo, crudele. Generali che non si coordinano, e anzi si fanno la guerra. Armate che dormono in piedi, anche sotto i colpi di cannone, dopo marce di 40 o 50 km., per due o più giorni. Una Germania nettamente anglofila che fa la guerra all’Inghilterra. La guerra in contemporanea su due fronti, all’Est e all’Ovest, eresia per Clausewitz, e per l’intelligenza media.  
Barbara Tuchmann, I cannoni d’agosto

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