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lunedì 16 novembre 2020

Ma la romanità non è bonaria

Molinari si promuove con un contributo “storico” a Gigi Proietti, pieno di cose – interviste, ricordi, pezzi forti, estratti – e di umori. All’insegna della romanità, “Mandrake a Roma” è il sottotitolo. Ma di una romanità bonaria. E questo è in sintonia con Proietti ma non con la romanità - Proietti del resto, benché nato a Roma, e a via Giulia, era tosco-umbro di famiglia, con la quale ha vissuto a lungo da immigrato, provvisorio, cambiando residenza in continuazione, più che da romano-romano. Petrolini lo era, scettico per non essere violento, e comunque cinico, ma di Petrolini Proietti prendeva solo il porgere, nelle imitazioni.
Si confonde la romanità con la bonarietà. Mentre è armata. Proietti per primo lo sapeva che sempre si è difeso – muore con l’aureola, ma quanto ha faticato. Fino a Petrolini – fino a Mussolini, che mezza Trastevere mandò al confino sigillandone i covi, una deportazione, seppure in costosi condomini popolari d’architetto, ai Quattro Venti e a Donna Olimpia – il romano romanesco sapeva di coltello facile. Molinari apre la golosa compilazione celebrando l’apologo del cavaliere bianco e del cavaliere nero, ma appunto: il cavaliere nero non è bonario.  
Stefano Costantini-Paola Ermini (a cura di),
 Gigi Proietti
, “la Repubblica”, pp. 144, gratuito col quotidiano

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