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sabato 29 maggio 2021

L’altra Calabria

Una “Calabria da bere”. Peppe Smorto ci ha rubato il titolo, ma ha fatto bene: per una volta un cronista che si applica a raccontare cose e persone che si vorrebbero frequentare, in Calabria – cioè: non la solita cronaca locale di arresti, “dispetti”, processi, condanne (e non locale, v. il catalogo dello stesso editore, Zolfo-Melampo).
C’è un aspetto luttuoso della Calabria – c’è un altro posto al mondo dove le cronache siano solo di malvivenza, a parte il verbo degli assessori e sindaci locali? Ma c’è anche un aspetto festivo, non può non esserci, e Smorto ha voluto portarlo alla luce. Anche se, pure lui, con un fondo di malinconia, legandolo praticamente al lavoro delle parrocchie e dell’associazionismo religioso.
Questo è vero, e non lo è  Molto  si fa anche senza la forza della chiesa. Ma è vero che il problema della Calabria è quello che un tempo si diceva della classe o ceto dirigente. Che si riforma in  continuazione, una partenogenesi incessante, molto democratica, ma in una sorta di processo distruttivo. Basti il raffronto tra gli anni 1960, di Mancini e Misasi, e il nulla odierno.
Nella società civile il declassamento non è analogo, anzi ci sono oggi molte opportunità di formazione nella Regione che cinquant’anni fa non c’erano. Ma non si è formato un tessuto connettivo, societario, di idee e di interessi. Un tessuto che regga la produzione, moltiplicando l’accumulazione – che possa o che ci riesca: la Calabria non accumula, al meglio segna il passo. E questo perché dalla Calabria si continua a partire. Non per bisogno. Perché le opportunità sono altrove – con i tanti medici calabresi di Roma si sarebbe risolto da tempo l’ottuso commissariamento della sanità nella Regione.
Smorto, che pure lui è partito, senza complessi o patemi, una vita e una carriera a “la Repubblica”, ha scoperto che si può anche tornare, con piacere. Con disappunto, per il tanto spreco, ma a sommatoria positiva. Non c’è un contesto favorevole, non politico, non d’opinione, non, tutto sommato, repressivo, ma le idee e le energie profuse sono di per sé esilaranti. Verrà pure un giorno in cui faranno valanga, invece di tenere, come oggi, gli interstizi, o salvare la scialuppa col secchiello.
L’altra Calabria è raccontata con vena lieve in una ventina di episodi. Non le bellezze naturali della pubblicità – “l’aria” non è mai mancata, a sentire mezzo secolo fa Otello Profazio. Ma di normalità eccellenti. Sì, c’è anche la storia, per dire, del palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, ma anche questa si legge in allegria (e poi la “Calabria” non c’entra, ne è vittima): in costruzione dal tempo di Martelli ministro della Giustizia, quindi almeno da un quarto di secolo, “un castello” di 600 stanze, bloccato da dieci anni, non protetto nemmeno dalle intemperie, uno scheletro.
Giuseppe Smorto, A Sud del Sud, Zolfo, pp. 176 € 16

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