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martedì 13 dicembre 2022

Intercettare, sempre meglio che lavorare

Si discute delle intercettazioni come se fossero la chiave del diritto all’informazione. Mentre sono la chiave di una giustizia di sbirri – sbirro è “agente di polizia di governi del Medioevo e del Rinascimento”, dice wikipedia, ma tutti sappiamo cosa vuole dire, e non si riferisce più all’agente di polizia: da quando sono i Procuratori della Repubblica a condure le indagini, se ne sono appropriati, e non se ne adontano.
Le intercettazioni sono più spesso una forma spregevole di diffamazione, calunniosa. Che noi paghiamo, alcune centinaia di milioni l’anno, per il divertimento e la carriera di giudici spregiudicati e cronisti giudiziari, e di qualche colonnello – è sempre meglio che lavorare. Si veda da ultimo dal profluvio di intercettazioni a carico del management Juventus, dalle loro conversazioni quotidiane per un paio d’anni estraendo le frasi dove si dice “cazzo” e “merda”. Salvo poi, ieri, rinunciare a presentarsi in giudizio. Dopo due settimane di diffamazioni.
Non è opera dei Buffi, è la Giustizia, senza senso del ridicolo. Le intercettazioni sono uno strumento di indagine non una prova. Si dispongono per arricchire le indagini su un reato che sia stato commesso, e non “a strascico” come alla pesca proibita (ci sono registrazioni di effusioni in
 camera da letto, e anche di meteorismi e evacuazioni al bagno), alla ricerca di un reato purchessia. I giudici lo sanno. I cronisti giudiziari pure. Ma finché la diffamazione è libera, se ne avvalgono – sempre meglio che lavorare.

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