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mercoledì 11 gennaio 2023

Fine della storia

“L’Anticristo non vive tra noi ma è in noi”. Il laicissimo Croce che si occupa dell’Anticristo? È un ritorno indietro dallo storicismo integrale. Croce ritorna su Hegel, sulla razionalità del reale, e in vecchiaia, con l’esperienza del male emersa nella guerra (dopo il terremoto omicida subìto nell’adolescenza), dal 1942, dal “Perché non possimo non dirci cristiani”, avvia un percorso autocritico che finisce nell’apocalissi, nei brevi saggi di questa raccolta.
Un apocalitticismo, va detto, di incredibile preveggenza, o finezza: “Si è fatta viva dappertutto la stringente inquietudine di una fine che si prepara, e che potrebbe nei prossimi tempi attuarsi, della civiltà o, per designarla col nome della sua rappresentante storica e del suo simbolo, della civiltà europea”. È l’attacco del primo saggio qui recuperato, “La fine della civiltà”. Che, letto con la guerra in corso al centro dell’Europa, dopo le tante condotte inutilmente in Africa e in Asia per celenrare “la fine della stroia”, e con il covid, la crisi climatica, la ccrisi economica, si legge come profetica.  
Seguono alla profezia due frasi lunghe, di corsa, senza fiato, per rifare la stroia – la storia “europea” e non “occidentale”. Contro quella che già venne detta “la fine della storia” da un alto, la caduta dell’impero romano dopo sei o sette secoli di vita. E contro l’intellettualismo, il giacobinismo, il radicalismo, ma anche contro la “pratica liberale”: nessuna ricetta è risolutiva, la Vitalità (le forze della natura), già celebrata forza animatrice dell’universo, è analizzata come incontrollabile, e anche distruttiva.

Un ritorno a Kant, rivedendo radicalmente Hegel, e ai temi morali più che logici, in qualche modo anche alla religione che pure rifiuta. Gli stessi titoli dei saggi, “Il peccato originale”, “L’Anticristo che è in noi”, ”La fine di tutte le cose”, il curatore Ilario Bertoletti che rinviare a Kant, “Il male radicale”, “La fine di tutte le cose”: “Venuto meno il necessìtarismo della storia, in Croce non solo l’etica assume le sembianze di una morale del dover essere, ma, al pari che in Kant, la filosofia per  rendere conto dell’esperienza limite del male abbisogna di concetti-limite” – dei “teologumena”, “forma particolare di pensiero metafisico”, ipotesi teologiche analizzate o vissute come fatti storici: proprio “quelle sottocategorie che per la logica dello storicismo assoluto erano erano una forma deprecabile di filosofia teologizzante” (quella dalla quale Hegel proveniva, si può aggiungere, nello Stift di Tubinga con Hölderlin e Schelling, da qui forse il rifiuto radicale).
La luga e densa postfazione del curatore è una riflessione sul passaggio di Croce in numerosi scritti degli ultimi suoi dieci anni dallo storicismo integrale a una sorta di teologia laica – “saggi fra i più teoreticamente tesi dell’ultimo Croce”. Ai teologumena. Croce, dice Bertoletti senza ironia, faceva teologia senza saperlo: “L’assolutizzazione della dialettica degli opposti, declinantesi in un calvario dello Spirito, era indice di un irriflesso teologismo”. La radice emerge con la guerra. Già nel primo saggio, 1942, “Perché non possiamo non dirci cristiani”: “Il nome di Cristo è assente”, nota Bertoletti, “ma Gesù – al pari di Paolo e di Giovanni - è posto tra i «genii della profonda azione», tra i «creatori di ethos»”.  
Benedetto Croce,
La fine della civiltà – L’Anticristo che è in noi, Morcelliana, pp. 97 € 10

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