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martedì 18 aprile 2023

Secondi pensieri - 512

zeulig


Amore – È un rapporto. Senza un ruolo attivo della donna, dice Madame de Lambert nelle “Riflessioni sulle donne”, la marchesa, dell’Altro si direbbe oggi, “l’amore non è piccante; sembra che sia l’opera della natura, e non quello dell’amante”.
L’amore è opera degli amanti. “È un’arte”, dice la marchesa, per la quale ci vorrebbe una scuola: “Ci sono tante scuole create per coltivare lo spirito, perché non averne una per coltivare il cuore? È un’arte che è stata dimenticata” – già a fine Seicento. Benché, più di altre, andrebbe coltivata: “Le passioni sono corde, che hanno bisogno della mano di un grande maestro per essere toccate”. Mentre succede il contrario. Allora, nel Seicento, probabilmente come sempre di più successivamente, a parte la parentesi romantica: “L’amore non era denigrato dagli Antichi come lo è oggi….Platone ha un grande rispetto per questo sentimento: quando ne parla, la sua immaginazione si scalda, lo stile s’imbellisce; quando parla di un uno colpito: Questo amante, dice, la cui perona è sacra, etc. Chiama gli amanti amici divini, ispirati dagli dei”.
Ma non era un amore sessuale, come poi con l’America e Hollywood: “Gli Antichi non credevano che il piacere dovesse essere il primo obiettivo dell’amore”.
L’amore, però, è resistenza più che accettazione, secondo la marchesa: “La passione si spegne appena è soddisfatta. L’amore, senza timori e senza desiderio, è senz’anima”.
 
Montaigne ne parla come di un trasporto ingovernabile: “Mi sentivo rapito, benché vivo e sveglio (tout vivant et tout voyant). Vedevo la mia ragione e la mia coscienza ritirarsi, mettersi da parte, e il fuoco della mia immaginazione mi trasportava fuori di me stesso”, Un fatto fisico, di ormoni.
Un fatto spirituale nel Tasso, al canto II, 16 del poema, dove il giovane Olindo - “che modesto è sì com’essa è bella”, essa Sofronia - “brama assai, poco spera, e nulla chiede”.
Un esercizio onanistico? Sofronia, invece, “vergine era fra lor di già matura\ verginità”.
 
Un trucido Shakespeare del sonetto trenta e qualcosa - se è lui (che astuzia quell’esserci e non esserci) – vuole il suo amore una tomba, adorna dei trofei dei vecchi amanti. L’amore sarebbe malsano? Esaltazione, per inconfessata avidità: il Pirro di Racine è consumato da più fuochi di quanti ne aveva accesi. O era Andromaca che si consumava? Andromaca è, come tutti i machos, di solito uomini, una combattente - combatte gli uomini, la moglie e madre esemplare, i ruoli erano in antico ambivalenti.
Sono gli uomini, sentimentali, che eternizzano l’amore. Sono affaticati, gli uomini, e quindi ansiosi, possessivi, inopportuni, insistenti, sudano, telefonano, mandano gli amici. Le donne per un po’ ci stanno ma poi si stancano. Essendo pratiche e quindi ragionative - è la schiavitù all’origine della filosofia? la vera filosofia si nasconde, e la cattività spinge a non dichiararsi – rimettono le cose a posto: una toccatina non è la fine del mondo, il resto è convenienza, la sottigliezza non s’addice al cuore.
 
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, dell’amata che non ama, dice Pavese, suicida. Gli occhi di chi? Dell’amata che non ama? La mancanza d’amore può uccidere, ma gli altri, non se stessi.
Amore e odio è altro cliché. “L’Amore viene dall’odio” è “opera mediocrissima” già in Stendhal. Raro è il suicidio per il bene di chi si ama, spiega bene Rensi, l’egoismo viene prima. Per amore si può anzi decidere di voler vivere, costi quello che costi. Se ci si uccide è per astio - o è una bestemmia contro Dio o l’esistenza (una vendetta contro se stessi, il suicidio è sempre odio di sé).
L’amore è “amore amato”, spiegava bene Ramon Llull, italianizzato in Raimondo Lullo, che pure era un teologo, al tempo di Dante.  
 
Dio – “Era dottrina dei nostri maggiori\ che è per gli dei che si vive,\ essi ci hanno rimeritato\ (con il loro sacrificio ci han dato la vita)” – “Coloquios y DoctrinaChristiana”, in Miguel León-Portilla, “Il rovescio della conquista”, p. 28. Così confidavano i savi e i sacerdoti aztechi sopravvissuti alla conquista del Messico ai frati francescani accorsi nel 1540 nella Nuova Spagna. È però vero che Moctezuma e i suoi savi e sacerdoti avevano visto in Cortès e i suoi uomini degli inviati divini.
 
Felicità – Gianfranco Ravasi sceglie di legarla a due poeti liguri, cioè “sommessi” (discreti, contegnosi, non espansivi…), Montale e Sbarbaro. Alle immagini che ne ebbero in gioventù: “Felicità raggiuta, si cammina\ per te sul fil di lama.\ Agli occhi sei barlume che vacilla,\ al piede, teso ghiaccio che s’incrina”, Montale, “Ossi di seppia”  – e ancora: “Nulla paga il pianto del bambino\ a cui fugge il pallone tra le case”. Sbarbaro: “Felicità, ti ho riconosciuta al fruscio con cui ti allontanavi”. Immagini di fragilità. Di “gracilità strutturale” dice Ravasi, che pure è cardinale, uomo di fede.
 
Europa – Era il Vecchio Mondo già nel Cinquecento. 
 
Ridicolo – Se ne è persa la cognizione, nella cura della persona, l’abbigliamento, le posture, soprattutto l’eloquio, specie in tv, specchio dei tempi, e nei social, di parole o di immagini – e le interviste seriose a una pagina a una squinzia, che parla come Freud, o a un bullo, gente che parla come i tatuaggi. Senza più misura. Per non dire degli onorevoli che dicono le frasi fatte, guardando fisso l’obiettivo, veti secondi esatti.  
Se ne perde il senso con la libertà – la libertà è liberare i buoi?

 
Il senso del ridicolo è stato forte quando la società era rigida. Per esempio la Francia di fine Seicento-primo Settecento – se ne è fatto anche un film, “Ridicule”. Si esercitava allora contro la saccenteria – oggi si direbbe l’intellettualità. Quindi retrogrado. Anche perché è arbitrario – non ha canoni: dipende dai gusti, dalla disposizione d’animo di ognuno, sia pure dei gruppi prevalenti, e dell’epoca, dai linguaggi dell’epoca. Ma la sua assenza – la mancanza di una sensibilità del ridicolo, del cosiddetto “senso del limite” - è generazionale e sociale: è il terrapiattismo della parola, della démarche (contegno), dello spirito.
 
zeulig@antiit.eu

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