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domenica 16 aprile 2023

L’impero del declino

“Dal Sudamerica al Golfo lo yuan conquista i Paesi non allineati, titola “Il Sole 24 Ore”. Cioè, fino ad ora, solo Lula, il presidente brasiliano, che da Pechino ha lanciato un appello a “emanciparsi dal dollaro”, a disintermediare il dollaro quale valuta internazionale, di pagamento e di riserva. Non è vero: i principati arabi del Golfo e lo stesso Iran sono saldamente legati al dollaro, e ai bond americani – come lo stesso Brasile, del resto, fino a ieri governato da un presidente non anti-yanqui, e anzi “amerikano”, Bolsonaro. Ma non è nuovo: periodicamente insorge la “scomparsa”, il “crollo”, la “sconfitta” dell’impero americano, che subito poi si rivela invece il germe del rilancio della potenza americana stessa – come se l’America crescesse facendosi piccola.
La prima “notizia” è di metà anni 1950, a Bandung, Indonesia, una conferenza promossa sempre dalla Cina, che adottò i Punch Shila, i cinque principi della coesistenza pacifica, tra non-allineati, al culmine della confrontation russo-americana, bolscevico-capitalista. Poi, dopo il Vietnam, il dollaro allo sbando a Ferragosto del 1971, non più convertibile in oro, e la crisi petrolifera dell’autunno 1973 - crisi che fu gestita dagli Stati Uniti, e rilanciò potentemente il dollaro. Poi con le presidenze deboli dell’ultimo Nixon (dopo l’apertura alla Cina…), Ford e Carter, col varo nel 1981 dei diritti speciali di prelievo, l’unità di conto del Fmi, una media ponderata del dollaro Usa, lo yen, la sterlina e l’euro (agli inizi il marco tedesco e il franco francese). Da ultimo con le criptovalute. Ora col yuan?
Il crollo del dollaro è generalmente annunciato in una con la crisi del sistema produttivo americano. Un sistema produttivo che da un secolo e mezzo marcia più spedito e più robusto di qualunque altro. Crea crisi finanziarie a cascata, da capitalismo selvaggio, ma è quello che meglio e più velocemente le supera. Anche ora: l’economia americana è quella che meglio (più rapidamente e con maggiore consistenza) è uscita dal blocco del covid. Senza paragoni. E più si è avvantaggiata della guerra in Ucraina, senza subire i rincari dell’energia. Tornando la più attrattiva per ogni operatore, anche tedesco, o francese, anche cinese. Perfino a premio sulla stessa Cina, che pure paga profitti alti. L’“Economist” questa settimana lo nota con sorpresa, ma la cosa è nei fatti, lo è sempre stata.

 

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