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martedì 27 aprile 2010

Econostalgia di cinquant’anni fa

“A livello della base socio-economica” lo scriveva anche Eco nel 1964. Per un repertorio che è vivo solo come reperto d’epoca, benché sempre riproposto in edizione economica, per largo pubblico: i mass media, la televisione, il kitsch, i fumetti, le canzonette, e il midcult, “l’uso falso della cifra alta” (l’uso alto della cifra falsa?). Pieno di classificazioni perente: dieci ragioni per la cultura di massa, quindici contro, quasi fosse una partita di tennis e la cultura di massa non “spostasse”, che ci ha resi schiavi, senza campi di lavoro né penitenziari. O la liquidazione del romanzo giallo, che quarant'anni dopo avrà invaso stabilmente le librerie, da parte di uno che analizza in dettaglio i fumetti e la fantascienza, "ormai decaduto a "maniera" della violenza e del sesso". Ma è sempre Eco, col sorriso che illeggiadrisce, il solido fondo scolastico, la contemporaneità, la capacità di leggere Superman con Husserl, grande avventura, la mediazione culturale immediata, dagli Usa, la Germania, la Russia, la Francia, l’Inghilterra. Impensabile oggi, anche se non eccezionale cinquant’anni fa: nessuno concepisce o scrive un’opera del genere, nessuno la pubblicherebbe.
Eco si diverte. “Il Gattopardo” dice “onesto prodotto d’intrattenimento”, non diverso da Guido da Verona – se questa non è già una trappola della semiologia livellatrice. L'abate Suger è il persuasore occulto di Madison Avenue. Nembo Kid è Orlando, Sigfrido e Peter Pan, ed è pure vero. Superman è Parsifal, giovane, bello e forte ma virginale. E ha già l'avatar, gli endoxa, autorevoli e svagati, e ogni altro riferimento di questa nostra età dell'acquario - o è già passata? Anche se al gioco si perde qualche colpo. Nella semiologia di “Steve Canyon” – Steve è un eroe da fumetto – manca un doppio significato importante, alla settima inquadratura: “Il nome del segretario” di Copper Calhoun, la potentissima dark lady, Mr Dayzee, “suggerisce il nome di una «margherita» (daisy)”, scrive Eco. No, suggerisce una checca, una tante – che abisso si aprirebbe, vero?
Eco è sempre realista: spara a colpo fermo sulla “incapacità dei mass media di esprimere ciò che non sia già ovvio o acquisito”, non temendo di sfidare i futuri Santori. E liquidato "Il Gattopardo" in tre parole, si perde in inutilissimi saggi sui fumetti: Steve Canyon, Li'l Abner, Batman, Superman detto Nembo Kid, lo stesso simpatico Charlie Brown. Invidiabile, ma niente resta in più della simpatia.
Nell’autopresentazione anonima, molto umbertechiana, di questa edizione del 1977, l’autore si diverte a prendere in giro i suoi critici. A Citati, che nel 1964 lamentava al solito l’invadenza della cultura di massa, film, canzoni, fumetti: “Il brano”, commenta l’anonimo Eco perfido nel 1977, “benché si volesse profetico, era in realtà cronachistico”, già nel 1964 i poeti scrivevano canzoni e facevano film. Ma non dal 1964, dai tempi di Omero. Facciamo tutti prosa senza saperlo? La Kulturkritik è sempre a rischio kitsch.
Nel 1962, mentre è in viaggio di nozze, Eco partecipa a Grosseto a un simposio sulla tv nel quale è “contestato a sinistra da Armando plebe, e dall’Altrove Assoluto di Achille Campanile”. Campanile ogni tanto perdeva la bussola, che aveva scritto un “Trattato delle barzellette”, di 600 pagine. Mentre Eco le barzellette le sa raccontare, qui ne fa spesso uso. Ma l’Altrove Assoluto è vendicativo, e dove può sbriciola. “Apocalittici e integrati” sarebbero i “critici popolari della cultura popolare”. Popolari nel senso che vengono dal Tiburtino III, o scrivono per il Tiburtino III? O per la cattedra, e i lettori dell’“Espresso” intelligenti?
Umberto Eco, Apocalittici e integrati

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