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domenica 25 aprile 2010

Ipazia non c’è nel suo film

Un polpettone. Di pagani che sgozzano i cristiani, i cristiani gli ebrei, gli ebrei i cristiani, i cristiani i cristiani. Che non si nasconde: si vuole del genere kolossal anni 1950, quando fu inventato il cinemascope, anche se non ha le maggiorate, Sofia Loren, Elizabeth Taylor - ha una Rachel Weisz che è in tutto, in nordico, Penelope Cruz, e Penelope è la diva per eccellenza in Spagna. Il solito tutto che è niente. Non è storia, non è filosofia, non è anticlericale, e non è un kolossal, solo Hollywood li sa fare.
Un film di masse. Senza cura filologica quindi: i cristiani vi odiano le donne, bruciano i libri e distruggono le biblioteche, uccidono Ipazia come miscredente, la condannano come strega, eccetera, mentre invece i cristiani liberavano le donne e hanno conservato i libri, li studiavano perfino, Ipazia era una tranquilla filosofa e matematica, e le streghe arriveranno dal Nord qualche secolo dopo. C’è anche un prefetto romano che porta in barca Ipazia, come qualsiasi riccone l’amante sullo yacht il week-end. E poi piagnucola come un bambino. I cristiani sono talebani, neri, barbuti, tagliagole.
La disonestà è dei critici. Che ci hanno fatto agognare il polpettone come un boccone prelibato negato dalla censura. Mandandoci a vedere un film su Ipazia che non c’è. Su un conflitto religioso tra cristiani di cui il film non dice nulla. Anche il senso di colpa vi è a disagio: il film è stato girato nel 2008, oggi ci vorrebbe un po’ di pedofilia.
Alejandro Amenàbar, Agorà

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