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lunedì 25 ottobre 2010

Fini a Berlino, l’impresentabile Seconda Repubblica

È lui che ha salvato la Fiat, con “i sacrifici degli italiani”. Non Marchionne, che è “un canadese” – si vede che il Canada non si è prestato al suo tour diplomatico. E ora va a Berlino a salvare le relazioni dell’Italia con la Germania, niente di meno. Occupa la scena internazionale, non sapendo fare altro oltre ai viaggi, grazie alle sudditanze diplomatiche acquisite da ministro degli Esteri, ma, seppure la rappresenta bene, rappresenta l’impresentabile Seconda Repubblica. Di piccoli opportunisti, avocatori della questione morale che calpestano a ogni passo, e incapaci più che molesti, ma per questo dannosissimi alla Repubblica, che hanno portato allo stremo. Una Repubblica che è sotto gli occhi di tutti: mediocre e cinica, e anche corrotta, che giustamente è tutta per Fini. Ne è il leader “naturale”, e in questo senso il vero erede di Andreotti cinico e baro: Fini non è altro - non ha mai saputo che cos'è, ma è proprio questo.
Si ricostruisce l'ennesima nuova faccia politica all’insegna della guerra al partito del capo o carismatico. Ma non ha fatto altro dacché esiste, quando capitanava il Fronte della gioventù neofascista. Uno che non ha mai fatto nulla in vita sua, salvo coltivare la sua immaginetta. Ora più che mai che dal Msi violento si vuole passato all’estrema sinistra. Vuole dare la casa e il voto agli immigrati, e vuole tassare i Bot al 25 per cento. Dopo aver fatto una legge spregevole, la sola cosa che ha fatto in quasi sessant’anni, contro gli immigrati, e le famiglie che ne hanno bisogno.
Fa ora visite “di Stato”, cioè a spese dello Stato, ogni tre giorni. Indifferentemente, dall’Africa a Londra, basta che comportino il diritto di comparire ai telegiornali. Che va bene poiché ci libera dall'incubo del suo fidato Bocchino ogni giorno sui tg, ma è solo espediente al culto della persona. L’ambiziosa missione a Berlino, per una fotina con la cancelliera Merkel, è d’altra parte l’unica iniziativa in due anni nella capitale tedesca del fedelissimo ambasciatore Valensise, uno che, dice il curriculum , “oltre alla lingua madre”, parla quattro lingue. Da ex ministro degli Esteri, mette a frutto i “movimenti” di diplomatici, ora impegnatissimi a cercargli interlocutori ai quali possa stringere la mano. È il tipico esercizio di potere del piccolo politicante. Come già aveva messo in moto i Procuratori Capo da lui favoriti come vicepresidente del consiglio, dall’Aquila a Firenze e Roma. Li aveva messi in moto contro i suoi amici politici, Berlusconi e soci.
Tutto questo, è vero, lo fa un grande politico andreottiano. Anzi di più: se c’è uno che impersona l’impresentabile Seconda Repubblica è lui. Più cinico, incapace e profittatore dei Casini e gli altri rottami che l’alluvione Berluusconi ha portato a galla, e dei tanti spezzoni del Pci che Prodi sempre con difficoltà e per poco è riuscito a tenere a freno. Sempre al coperto della questione morale, Uno che sposta gli ambasciatori, con la pingue cooperazione allo sviluppo. E i giudici, il napoletano Woodcok, che ha preso d’assalto Feltri e l’ha messo a tacere, il Procuratore di Roma Ferrara che aspetta l’occasione – uno sciopero dei giornalisti per la libertà d’espressione, così minacciata? – per archiviare l’inchiesta sulla casa di Montecarlo che non ha fatto. E usa la Rai per i suoi parenti, acquisiti.

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