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mercoledì 19 dicembre 2012

Misia, o la vita all’opera

Più famosa per il ritratto scritto che ne lasciò Cocteau, Misia si rifece con questi ritrattini, che si ripubblicano dopo un quarto di secolo. Nella casa della nonna materna a Halle, vicino Bruxelles, Liszt vecchio, “accompagnato da una signora vestita da uomo”, e Hans von Bülow, “il primo marito di Cosima, che lei aveva appena lasciato per tornare da Wagner”. Ibsen vanitosissimo, il re di Christiania, “una città onesta al punto di non avere una prigione”. Renoir, il pittore, che amava soprattutto parlare della Comune. Jean-Baptiste Charcot, l’esploratore antartico figlio del neurologo famoso per gli studi sull’ipnosi e l’isteria, che intrattiene i commensali di una serata noiosissima, nei preparativi di una spedizione, sugli “articoli di prima necessità”: “Si nominò a più riprese una «donna di gomma» e ci si diffuse con compiacimento sui diversi modi in cui i marinai ne avrebbero fatto uso”. Con dispetto di Misia, che, dice, ci mise “un po’ per capire”.
Ricordi sempre ben congegnati, oltre che ricchi di sorprese. Curiosando fra i manoscritti del marito, “un giorno m’incapricciai di una ‘novella’ inviata da un giovane di Praga…un precettore di quella città”. Era Apollinaire. Diaghilev muore mentre Lifar e Kochno se ne contendono l’esclusiva “rotolandosi per terra, mordendosi e sbranandosi come bestie” – “due cani rabbiosi si disputavano l’eredità del loro maestro”. Questo succedeva a Venezia, nell’agosto del 1929, dove Misia effettivamente era presente, poiché dispose  per Diaghilev un funerale importante, e lo pagò.
Non una bellezza, benché immortalata da pittori del rango di Renoir e Toulouse-Lautrec. Ma sempre nel mezzo delle cose che contano nel primo Novecento. Di Cocteau ricorda una lettera: “Niente può far comprendere il malessere ‘androgino’ del poeta che si feconda e partorisce da solo”.Da ultimo censisce il culto, sconvolgente, di Picasso: una sua “minima stupidaggine scarabocchiata su uno straccetto sarà costosamente incorniciata”.
Attraverso il primo marito, il cuginastro Thadée Natanson, sposato a diciott’anni, editore e direttore della “Revue Blanche”, che aveva creato con i fratelli nel 1889 (Alexandre, il maggiore, creerà dieci anni più tardi “Le Cri du Peuple”), figlio di un ricco banchiere polacco emigrato, socialista, dreyfudardo, Misia fu di tutti i salotti, e il suo proprio tenne in grande spolvero. Fu una delle prima donne a Parigi ad avere un’automobile. Molto corteggiata, ma, dice, sempre virtuosa. Non si spiega il maupassantiano “grandissimo fascino dei direttori di giornale sulle donne”. Né l’incostanza dei mariti: un’amante del suo secondo marito, “la Lantelme”, un’attrice, l’accoglie “con occhiate assassine”, interessata a lei in realtà e non al marito.
È un mondo di donne che lasciano e sono lasciate. Di Belle Époque o Fine Secolo, che fiammeggia ancora dopo la Grande Guerra. La madre di Misia, russo-belga, è lasciata dal marito, scultore polacco, incinta di Misia. Lo scultore, di nome Godebska, aveva approfittato di un soggiorno di lavoro a Pietroburgo per mettersi con una sua propria zia e farle un figlio. Che nasce qualche giorno prima di Misia. La quale viene alla luce nella stessa Pietroburgo, dove la madre è corsa malgrado l’inverno rigido e la gravidanza avanzata, per recuperare il marito, e dove muore, sola in albergo, dando alla luce Misia. È il 1875. Il padre si prende cura della bambina e la riporta dalla nonna materna a Halle. Mettendosi  durante il viaggio a Varsavia con una signora Natanson, “che si fece sposare, a Parigi, poco tempo dopo”, dopo avercelo condotto per fargli una carriera, “donna intelligente” - non una signora qualsiasi, in realtà, era sorella del banchiere. A Parigi Misia è ripresa dalla nuova coppia. Ma messa in convento, per sei anni. Dove impara a suonare il piano, avendo per maestro Gabriel Fauré. Uscita dal convento si rende indipendente con lezioni di piano, agli allievi che Fauré le manda.
È una memorialistica atteggiata, come tutte, ma anche sorridente, e storica. Di una vita che è l’opera – in senso specifico, il melodramma. Misia è il prototipo, a crederci, della donna da salotto dell’età di Proust, avventurosa ma al di qua di ogni scandalo, se non pruriginosa o algida. Dove la bellezza si apprezza, in ordine, del denaro, dello spirito, del corpo. Ebbe tre mariti, tutt’e tre ricchi: dopo Thadée il magnate della stampa Alfred Edwards (“Le Matin”), che la “comprò” dallo stesso Thadée, e il pittore spagnolo José-Maria Sert – innamorato anche della principessa russa Isabelle Roussadana Mdivani, “Roussy”, con la quale i coniugi convissero a lungo. Visse fino al 1950, non dimenticata dalla Parigi che conta,  in stretta amicizia con Coco Chanel. Si voleva uno dei modelli di Proust per la principessa Yourbeletieff e madame Verdurin.
Misia Sert, Misia, Adelphi, pp. 242 € 19

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