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sabato 6 aprile 2013

Scrivere sull’acqua

Testi disparati, che la forza della vita unisce. Si direbbero una memoria familiare, ma sono di più. Della “vita come dono”, di chi morirà giovane. Racconti nostalgici della vita quale potrebbe essere. Che i ricordi e le fantasmagorie inframezzano di scorci lirici assoluti, benché in forma narrativa. Il ricordo grato di Claudio Magris in “Microcosmi”, della compagna di vita e di scrittura, quasi una coautrice, si doppia qui di una postfazione commossa e anche ammirata.
Sono prose particolari, oggi si direbbe “liquide”. Verde acqua è il “completino” con cui Marisa poté infine partecipare alla feste in casa delle compagne di scuola, lei profuga di Fiume rinchiusa da dieci anni in una sorta di albergo dei poveri a Trieste, il Silos. Fu una tragedia minore, tra quante infestarono il Novecento, quella degli sfollati fiumani, istriani e dalmati, in qualche modo accuditi dall’Italia (il rifugio analogo per i profughi di Pola, il Magazzino 18, è “celebrato” in una canzone di Sergio Endrigo, ed è andato quest’anno a Sanremo con Simone Cristicchi: il lutto è elaborato). E tuttavia è un sottofondo doloroso, che tanto meglio fa emergere l’impeto di vita.
Un completo, quello della prima festa, “che per me è ancora il colore dell’amore”. Marisa Madieri scrive così, semplice e inaspettata - una sorpresa alla occasionale rilettura. Della vita avendo percezione poetica. Nel senso del fare e del costruire (del divenire), non della staticità (passività) elegiaca e mimetica (metafore, similitudini, parabole). In comune coi poeti-poeti condividendo la passione (capacità) di fissare l’indefinito – o il divino, se lo si vuol dire: le ombre del tramonto, le velature dell’alba, le luci dell’aria e dell’acqua, pur traverso le enfasi (ipostatizzazioni) del ricordo. Ma senza il Grande Progetto (canzoniere, cantica).
Magris rileva la presenza ubiqua del mare in queste prose, dell’acqua. E evoca spesso Saba. E questo è: il mare come infinito senza senso, e insieme elemento liquido vitale. E la semplicità, l’immediatezza del segno – si può dire la semplicità di Saba, benché non presente alla scrittrice, meno il fondo filosofico (o non è la semplicità un tratto triestino, da Svevo allo stesso Magris?). Nella comune, sottesa, poetica mallarmeana, della poesia come “felicità di indovinare a poco a poco”, dove “suggerire è il sogno” – senza lo scacco che Mallarmé presuppone, l’impossibilità di definire l’indefinito, per orgoglio sistemico (il filosofo è luciferino, anche il poeta-filosofo).
Marisa Madieri, Verde acqua. La radura e altri racconti

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