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venerdì 23 maggio 2014

Wittgenstein religioso

Un Libro del Buon Ricordo, l’ennesimo, di una persona molto amata. Che è anche un Libro degli Amici, dei detti e fatti di Wittgenstein in qualche modo memorabili. Del personaggio Wittgenstein, per molti aspetti rara avis: filosofo austriaco a Cambridge, geniale, disordinato, ricchissimo ereditiere pauperista, pedagogo appassionato e maestro di tanti, temperamento socievole e furastico, brusco – “categorico” lo dice qui Drury. Amichevole e bisognoso di amicizia, ma sempre con riserva. Un soggetto in certo senso ideale per la memorialistica e le vite degli altri, che gli inglesi amano e di cui hanno fatto un’arte. Innumerevoli sono ormai le raccolte di lettere, nonché le memorie, degli amici di lungo corso (David Pinsent, Georg Henrik von Wright, Norman Malcolm, Paul Engelmann, più note sparse di Russell, Popper, Moore) o dei testimoni occasionali di un atto o un detto. In questa raccolta Rush Rhees assembla i ricordi, in vario modo utili, di Hermine, la sorella maggiore di Wittgenstein (maggiore di lui di quindici anni), Fania Pascal, F.R.Leavis, John King e M. O’C. Drury.
È una raccolta specialmente interessante, nei ricordi di Drury, di Hermine, e anche di Fania Pascal, per l’aspetto più sorprendente e poco analizzato di Wittgenstein, la religiosità. Che nessun prete naturalmente esplora, poiché il filosofo non era un pietista - non biascicava giaculatorie. La sua religiosità era però ben viva, costante, penetrante, fino in ogni suo triviale atto quotidiano. Al modo di J. S. Bach, dice lui stesso a un certo punto (p. 231) - che però era pietista, componeva ogni giorno febbrile sotto l’insegna SDG, Soli Dei Gloria, e chiudeva con JJ, Jesu Juva!, Gesù aiutami. Nella Grande Guerra, nella quale finirà prigioniero sul Carso, “i soldati lo chiamavano «quello coi Vangeli», ricorda Hermine, perché portava sempre con sé l’edizione di Tolstòj dei Vangeli” – aneddoto evidentemente riferito in famiglia dallo stesso Ludwig. Di ritorno dal soggiorno solitario, isolato, in Norvegia nel 1931 dice a Drury di “aver passato il tempo in preghiera”.
Wittgenstein vive la religione in tutti i suoi momenti e in tutti gli aspetti. Fino al rituale, alla pia pratica - rispettata se non praticata. In una con l’ascetismo. In senso materiale, del vivere di poco. E della purificazione nell’amicizia delle forti pulsioni maschili – “in lui tutto era sublimato a un livello straordinario”, ricorda Fania Pascal, che lo ebbe, oltreché visitatore frequente a casa per conversare col marito, anche maturo allievo di russo, insieme col suo giovanissimo ex allievo e convivente Francis Skinner.
“Non sono religioso ma non posso impedirmi di vedere ogni problema da un punto di vista religioso”, dice a Drury. Che a questo punto propone: “Non si è detto che le «Osservazioni filosofiche» potevano essere dedicate «alla maggior gloria di Dio»?” Wittgenstein non era metafisico, ma come logico s’impennava, se non imbizzarriva. Von Wright trova un’“impressionante analogia con il modo di fare filosofia di Wittgenstein “ nelle “sezioni filosofiche delle «Confessioni», di sant’Agostino, e “un parallelismo stringente” tra Pascal e Wittgenstein.
Ludwig Wittgenstein, Conversazioni e ricordi, Neri Pozza, pp. 235 € 15

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