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martedì 19 agosto 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (216)

Giuseppe Leuzzi

“Il Venerdì” recupera la Sicilia inviandoci Matteo Nucci. Ottimo scrittore certo, ma ci voleva un romano, romanista, tottiano e anzi zemaniano, come dire un provinciale, seppure di lusso, per scoprire Mozia e Tindari. Per aprire le finestre del palazzo dei Normanni dove i suoi Crocetta si sono fatti rinchiudere - che è solo una pratica igienica, elementare. 

La latinizzazione del Sud fu forzata, dai Normanni a Mussolini. I Normanni ebbero via libera dal papa alle scorrerie nel Sud Italia per scacciarne i bizantini e il culto ortodosso, prima che i saraceni. Mussolini volle latinizzata anche la toponomastica. Una modernizzazione e una semplificazione, nel senso dell’uniformità. Più cattiva o più buona? È stata sprecata in Alto Adige, per esempio. Ma al Sud questa uniformizzazione ha creato insicurezza – inconsistenza.

Le processioni in Calabria viste da vicino non sono un problema di ordine pubblico ma della chiesa.
Chi non considera la Madonna pagana, o mafiosa, deve però andare cauto. “Stiamo vivendo un periodo in cui è più importante la forma che il contenuto”, scrive criptico sul “Garantista Calabria” don Pino Strangio, rettore di Polsi, il santuario con la più lunga continuità di culto in Europa, da almeno 2.500 anni. È alla vigilia della prima celebrazione – il 2 settembre – senza festa. Ma non è questo che lo preoccupa: “Sentendo le persone che visitano il santuario, percepisco l’assoluta svalutazione della legalità per come è presentata. C’è molta disinformazione tra i contenitori di legalità e illegalità, mafia e antimafia”. In una regione in cui lavora una persona su tre.
I vescovi calabresi che soprattutto si preoccupano di abolire le processioni sono in effetti preoccupanti.

Rileggendo Dalla Chiesa sul “Fatto Quotidiano”-  il rapporto della sua Commissione sul malaffare a Milano - non si finisce di sbalordirsi: “Si aggiunge come nell’occasione fosse stata riscontrata una significativa presenza di padroncini calabresi nello svolgimento di lavori che pur si realizzano a forte distanza dai comuni di loro residenza e per somme singolarmente modeste”. Un professore della Statale. E Pisapia lo paga per questo?

La malaria e il giardino delle Esperidi
Il primo colono di Sibari, che vi importò le risaie, era di origini venete. Vi si dedicò dopo che una rabdomante altoatesina vi aveva trovato l’acqua. L’impresa fu difficile: i terreni erano cinque metri sotto il livello del mare, l’area era da un millennio abbondante infetta – acquitrinosa, malarica. Ma il signor Candido ci riuscì. Questo sessant’anni fa, poco più. Oggi la piana di Sibari è un giardino delle Esperidi. Vi fioriscono gli agrumi, arrivando sul mercato come primizie (clementine) e come prodotti tardivi (ovale di Calabria, succosissimo a giugno, e perfino a luglio), varie qualità di pesche, le albicocche. Mentre le risaie arricchiscono anche la diocesi  di Cassano, cara al papa Francesco.     
Sono veneti da una diecina d’anni, prima padovani ora pure trevigiani, i “valorizzatori” di Rocca Imperiale, un borgo dalle mille attrattive. Comprare con costava – e non costa – nulla, e si rivende al doppio e al triplo in breve tempo con pochi ritocchi. Tra le invidie e le maledizioni dei paesani.
Gustav René Hocke, che a Sibari incontrò Candido, il risicultore di origine padovana molti anni fa, censisce con grandi lodi anche un ottimo Greco di Gerace, un vino bianco derivato dall’uva greca, molto diffusa tra Metaponto e Gerace. Anche il nome sembrava ben trovato, un brand nato, e invece: mentre sul vitigno greco altre aree d’Italia hanno costruito, seppure con difficoltà, degli imperi, il Greco di Gerace si è perso. Il Greco di Lamezia, tentato una diecina d’anni fa, è scomparso dopo tre o quattro anni. Il Critone, che al greco aggiungeva una modesta quantità di sauvignon, per un esito molto gradevole, pure. Il Cirò bianco, che era al 100 per cento di uva greca, da qualche anno si mescola al trebbiano, per farne un “vino da tavola”. Manca più la capacità o l’ambizione?  

Calabria
Il giornale di Travaglio accompagna il regesto Dalla Chiesa col parere di Salvatore Malagò (Magarò?), consigliere regionale Calabria. Uno che vuole “presentificare alla Regione Lombardia…” Ora, è vero che Malagò-Magarò è calabrese, ma non c’è  tanta ignoranza in Calabria.
Il problema è che Magarò, ora al seguito di Scopelliti, è stato socialista, sindaco del suo paese per vent’anni, consigliere della Provincia di Cosenza per dieci, e poi presidente della stessa, prima di passare al consiglio regionale nel 2005 con l’ex giovane alfiere di Fini e del Msi.

Per la festa di san Rocco a Scilla “i fuochi sono autorizzati”, titolano i giornali calabresi: “Lo stesso parroco ieri mattina ha potuto tirare un sospiro di sollievo nel comunicare che i fuochi sono stati salvati”. Quando si dice la legalità.

Un padre s’inventa la medusa per far uscire la figlioletta dal mare. Istantanea è la voce che il mare è pieno di meduse, quasi che i bagnanti, a pagamento, non attendessero altro – che può venire di buono dalla Calabria?

Molte delle offerte ai santi e le Madonne sono raccolte dagli emigrati, attraverso casse comuni, gagliardetti, stendardi, ai quali spillare le banconote. Dagli emigrati, a Perth, a Melbourne, a Hamilton. Bisognerebbe occuparsene. O l’Australia e il Canada non sono sotto la giurisdizione dei vescovi calabresi?

Carmelo Nucera, endocrinologo, e Carmen Priolo, oncologa, sono molto avanti nello studio di alcune formazioni cancerogene della tiroide. L’annuncio esce su una rivista specializzata. Entrambi di Reggio Calabria, 33 anni lui, 31 lei, entrambi laureati a Messina, lavorano a Harvard. Nucera emigrato nel 2009, dal 2013 professore associato, Priolo chiamata da Nucera. Ma la “Gazzetta del Sud”, giornale di Reggio Calabria che si fa a Messina, prende tutta la prima pagina con un episodio di delinquenza in un paesino.
I giornali calabresi sono per tre quarti di cronaca nera. Locale, nazionale e internazionale. Che nessuno legge ma fa l’umore.

“L’autentico territorio degli antichi e primordiali insediamenti della Magna Grecia, ricordava nel suo viaggio mezzo secolo fa René Gustav Hocke, è quello della costa calabrese, la suola dello Stivale, da Reggio a Taranto, con gloriosi toponimi come Locri, Crotone, Sibari, Metaponto”. Oggi se ne parla per l’alta incidentalità della statale jonica.

È guerra, non c’è altra parola, tra i vescovi e  i fedeli sulle processione e le feste. Non si parlano, si sparlano reciprocamente, accusandosi di mafiosità, e si fanno i dispetti. E non fanno le feste, i preti perché non le vogliono, i laici contro i preti.

A Tresilico, dunque, la processione si faceva, con le stesse giravolte, trenta e quarant’anni fa quando all’incrocio la casa di Mazzagatti ancora non era costruita – il boss.
Anche il maresciallo Marino era lo stesso, per sette o otto anni, che aveva seguito la stessa processione senza inciampi. Poi è cambiato il sindaco.

La giunta di Africo viene sciolta per mafia. Il sindaco Versaci, che è avvocato, s’indigna: ha fatto pagare le tasse (un milione e 340 mila euro di incasso, non poco per un Comune piccolo e povero), si è costituito parte civile nei processi contro i mafiosi, ha adottato il protocollo di legalità contro le infiltrazioni mafiose negli appalti, ha in atto quattro progetti dei piano locale sicurezza, tre su beni confiscati alla mafia. La mafia è diventata antimafia?

Si fanno molti scavi archeologici in Calabria ma casuali, con le opere di sterro. Per strade, capannoni, palazzi. Un notevole patrimonio poi necessariamente ricoperto. Dopo aver creato notevoli problemi per le opere civili. Fare un po’ di prospezione prima, che non costa, no.

Grande produttrice di olio d’oliva, forse la maggiore, la Calabria non aveva ancora capito che il valore aggiunto è a valle della produzione – valorizzare i prodotti, i marchi, etc. Ora ci è arrivata, e crea una dop “Olio di Calabria”. Che non ha senso economico – non si compra un prodotto perché è calabrese. Ma l’etichetta unica consente di continuare a litigare: quale cultivar, e quindi quali aree e produttori, escludere dalla protezione? Ce ne sono almeno tre a grande diffusione, e molto diverse tra di loro, la Sinopolese, la Carolea e l’Ottobratica, e non tutte possono confluire in un unico marchio. E quelle minori, come la Grossa di Gerace? Si lavora contro, per escludere.

È la regione delle guardie forestali e ha quattro parchi naturali. Ma nessun bosco sano, specie nelle Serre e nell’Aspromonte. Quasi tutte le pinete sono asfittiche, mai allentate, mai ripulite, rinsecchite. Brutte a vedere e impraticabili. Un mozzicone acceso le manderebbe in fumo.

Ha tra mare e montagna un patrimonio turistico enorme. Montagne di varia attrattiva, dal Pollino all’Aspromonte, praticabili d’estate a differenze delle Alpi e le Prealpi, piovose. Ma non vi s’incontra mai nessuno. Né niente si fa per attrarre qualcuno.

leuzzi@antiit.eu 


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