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domenica 11 gennaio 2015

Si prendono ostaggi in Nigeria

La trattativa per il Biafra si svolge a Saõ Tomé, isola che il re portoghese Giovanni II, siccome i suoi coloni, non meticciati, morivano presto, ripopolò con i più coriacei ebrei passati alla croce. Nairobi è falsa destinazione, degno esito per essere stato referente lungo un mese dei falsi allarmi e progetti folli di riscatto degli ostaggi. Primo e inarrivabile il motociclista, un signore belga di mezza età, piccolo, tondo, occhiali metallici, con una lucidatissima Harley Davidson, secondo lui il mezzo più adatto per un’incursione, novello san Giorgio. Questo era anche il primitivo piano di Hitler per invadere la Francia: una sventagliata di motociclisti che sparano col mitra. Poi è arrivato l’assoldatore di mercenari, che si diceva francese ma lo parlava da vecchio russo e ne aveva l’aspetto: squadrato, benché disidratato dall’età, con stivaletti militari e una mimetica personalizzata che per un paio di giorni ha pavoneggiato per i piani. A questo punto è nata l’idea d’istituire un’accoglienza diversificata.
L’americano s’è presentato in grisaglia, asta dei pantaloni alla caviglia, capelli a spazzola, e una carta da visita con la sigla Raf, Rescue & Attack Force. Con elicotteri, infrarossi, bombe abbaglianti e stordenti, e l’appoggio di sommozzatori nelle zone lagunari, dicendosi sicuro di salvare gli ostaggi, con pagamento a operazione conclusa, ma con munizioni e mezzi a carico dell’Ente. Un altro belga avventuroso, cercatore d’oro nel Congo, o Zaire che sia, ha proposto i servizi del “leone”, o “leopardo”, che sarebbe l’ultimo uomo forte del paese africano, a tutti confidando: “L’oro è come l’amore. Ti rende la vita impossibile per sempre”. Più di un assoldatore di mercenari s’è proposto, per la suggestione degli affreux di Denard, ninja massicci che si aggirerebbero dal Congo al Biafra, agli ordini del noto colonnello, eroe in Francia della resistenza a Hitler.
È stato turbolento, per tutti e per l’Ente, l’anniversario del glorioso maggio. Le guerre di religioni - non di religione, non ci sono guerre di religione - sono spietate come tutte, e all’alba del 9 maggio undici operai in Biafra, dieci italiani e un giordano, sono stati massacrati nel sonno con una potenza di fuoco tale da frantumare ogni immagine di bambini denutriti, trademark della guerra di liberazione di Odumegwu Ojukwu – la guerra inventata a Madison Avenue, che però c’è, si spara. L’indipendenza volge al termine e Ojukwu, biancovestito da ammiraglio, mette fieno in cascina. Ha preso in ostaggio i superstiti, quattordici italiani e quattro arabi, e ne vuole il riscatto. Altri messaggi minacciosi fa giungere, per vie variamente definite, radio bush, radio tam-tam, radio foresta, il depistaggio non ha limiti, ma con repertorio ripetitivo. Il più dettagliato, con foto di giudici neri sotto parruccche incipriate e arricciate, voleva gli ostaggi sotto processo a Owerri, capitale del Biafra, latitando il riscatto.
La Caritas Internationalis, eletta a canale della trattativa su indicazione del cardinale Dell’Acqua, della segreteria di Stato vaticana, è stata a lungo muta. Il direttore della Caritas Karl Bayer, un omone che viaggia in Alfa spider, non ha negato i legami con Ojukwu, ma ha indicato il tramite in un padre O’Connor, al cui recapito, un telex, nessuno ha mai risposto. Neppure le salme sono state recuperate, in tanta cristianità. Finché il Dottore non ha preso in mano la vicenda: ha discusso col governo le soluzioni politiche, dal riconoscimento diplomatico del Biafra, escluso, alla fornitura di armi, esclusa ufficialmente, all’aiuto umanitario, scuole, medicinali, ospedali, da campo, raccomandato, e un sabato, dopo aver allertato quattro capi africani cattolici amici dei biafrani, due di essi amici anche dell’Ente, Kaunda e Nyerere, e due della Francia, i presidenti della Costa d’Avorio e del Gabon, Félix Houphouët-Boigny e Albert Bongo, ha racimolato dalle banche chiuse un valigione di dollari, ed è partito per Lisbona, da dove ha proseguito per Saõ Tomé. È partito con almeno sei milioni di dollari, per le minute spese, del governatore e gli altri intermediari. Ai funzionari minori è toccato sciamare per le capitali africane, Nairobi compresa – l’Ente fa scalo a Nairobi per riprendere l’aereo per il Sud Africa, destinazione ufficialmente off-limits se non sotto embargo.
Nel canale alternativo sono stati infilati psicopatici, sciacalli e spie. Si dicono spie i salvatori che ansiosi vogliono notizie, o bivaccano per carpire informazioni. Non si sa chi sono, né per chi lavorano, ma si sa che ci sono. È venuto il direttore di Afriques, arabo di Francia, da Parigi per elaborare il lutto, e cioè per sapere, pure lui. È un mondo dove il segreto non esiste, se non per farlo pesare. Un toscano del genere avvocaticchio, vantando titoli misterici e l’intimità di Nixon e Ceausescu, vagheggiava al telefono una lobby con Israele e il Sud Africa. Tra i cazzeggiatori non è mancato il fascista razzista. Il senatore di Milano Pisanò voleva ricostituire la Xma Mas, e lo sbarco del principe Borghese, “una legnata ai ghezzi” proponendo in alternativa a “musi neri”.
La vicenda è durata un mese, stremante. L’epilogo si attende a Libreville, capitale del Gabon, in albergo tra gli affari e la carne sudata:
- Attenti, queste ci cavano i tappi delle birre – avverte Natalone, che all’Ente cura il cinema e la Rai, che dia la versione esatta dei fatti, e l’Africa ossessiona: la stappabottiglie va con la danzabottiglie, la sparacoriandoli, attraverso un bossolo?, e la succhiamonete, aspirate dallo stesso possente orifizio. Mentre il negro se l’attorciglia alla canna della bicicletta. Possibile reminiscenza questa dell’Ercole del Pollaiolo, Natale non è nato incolto. La stappabottiglie è figura che lo fa sudare nell’aria condizionata gelida, l’eviratrice nera. Anche se la vera carne è lattea. Francesine, dicono. Bionde lo sono, e il Gabon è francese. Parlano poco, ma non abbastanza che non si capisca: la polacca s’individua, la ceca, la magiara, spie o schiave. Un paio potrebbero essere, contro ogni aspettativa, russe.

Dicono pure che il presidente Bongo s’è fatto musulmano, ingordo, per via delle donne. Questa potrebbe essere notizia ferale per l’Elf-Erap, i cui uomini sono gentilmente al controllo, perché ogni sceicco che si rispetti ha donna e magione a Londra e Ginevra più che a Parigi, l’harem non è più una casa chiusa. Il Gabon è, in piccolo, il Far West del petrolio. Era il paese di Lambarené, dei lebbrosi. C’è stato il dottor Schweitzer, che era più bello di Pierre Fresnay nel film del collegio, ma non ne resta traccia.
Lambarené era attivo già al tempo di Brazzà, un duro, arruolato nella Marina francese, Pietro Brazzà di Castelgandolfo. Cioè di Udine, ma di padre divenuto scultore ricercato a Roma, da papi e cardinali. Pietro scoprì l’Africa a bordo della nave “Vénus”. Risalì l’Ogooué, raggiunse in sette mesi Lambarené, e qui rimase senza soldi, finché la famiglia non provvide. Ricevuto il denaro, si comprò il locale re Renoké, che lo guidò all’interno per fare schiavi. Né lo scoraggiò che l’Ogooué non defluisse dal Congo: raggiunse il grande fiume ugualmente, attraversando gli altipiani di Bateké. Per scoprire che Henry Stanley c’era già stato, famoso tra gli indigeni. Risalì due anni dopo l’Ogooué, per scoprire che la laguna del Congo era appena stata battezzata Stanley Pool. Riattraversò il fiume e sotto l’altopiano costruì Brazzaville e la Repubblica democratica del Congo, per conto della Francia, comprandola da Mokoto, re dei Bateké. Finché finì i soldi e dovette ricorrere di nuovo alla famiglia.
La famiglia Savorgnan di Brazzà ha dunque finanziato l’impero francese, la storia è tutta da inventare. L’ultimo Savorgnan di Brazzà aveva l’incarico all’Ente di ricevere i reali del petrolio. Secondo lo schema collaudato per lo scià a Ferragosto del 1953, in esiliò provvisorio da Mossadeq.  “Lo porti a Capri sullo yacht di Rizzoli”, disse il Principale al n-bile Brazzà, “ce lo presta. Da Napoli col nostro aereo lo porti a Milano e gli organizzi un pranzo di principi”. “Ma Ingegnere, a Milano non ci sono principi, i principi stanno a Roma”. “Li prenda a Roma e li porti a Milano”. È la stessa storia dello scià da sposare a Gabriella di Savoia.
Brazzaville è sito ventilato, più favorevole della Léopoldville di Stanley che si trova di fronte. Stanley, noto in Europa per avere ritrovato Livingstone, e tra gli indigeni come Bula Matari, lo spaccatore di pietre, lavorò invece per il re del Belgio Leopoldo II. Henry Morton Stanley, nato da ignoti gallesi, cresciuto in America, giornalista a Londra, esploratore per noia, fece in Africa una scoperta: al centro del continente, a Niang-we, dopo alcuni mesi di marcia, scoprì che il terreno era nocivo alle cipolle a causa dei vermi che se le mangiavano. Ma era nocivo il terreno, o lo erano i vermi? E come vivevano gli africani senza le cipolle? La testa rasata Stanley prese il tè col pio Livingstone nella foresta di Mayume in compagnia dell’arabo Tippo Tib, grande – “impetuoso”, dice Stanley – mercante di negri. Livingstone scoprì nel Congo le cascate, cui diede il nome, che quattro secoli prima erano state scoperte dal capitano portoghese Diogo Câo. Tippo Tib è nome eponimo, il personaggio può essere inventato. Un Tippo sahib, principe islamico di Mysore in India, in guerra con gli inglesi, aveva cercato a lungo alleati in Europa, soprattutto in Francia, dapprima con Luigi XVI, poi con la Rivoluzione.
Gli esploratori sono inutili. Ammesso che abbiano fatto i viaggi di cui scrivono – la scoperta è anzitutto una foto col piede sulla testa del leone. La scoperta veniva comoda al colonialismo, lo scramble. Mentre gli esploratori, britannici in genere o francesi, con la barba, scoprivano in Africa se stessi, lontani dalle madrepatrie grigie, così come nel Sei-Settecento si sbloccavano a Roma, da Montaigne a Goethe. Ma è vero che Brazzaville è stata rifugio alle truppe francesi della Resistenza, a qualche miglio da Hitler. E tra Libreville e Lambarené c’è ora il petrolio. Foccart si mangerà le mani, per aver impedito a Léon M’ba, predecessore di Bongo, di annettere il Gabon alla Francia. Ma, se c’è il petrolio, è impensabile che non lo sapesse. Né è pensabile che si lasci spiare dall’Est in casa, dalle bagasce poi. La carne può non avere misteri, va pure a buon prezzo: c’è fame di donne nei paesi del petrolio. In subordine alla birra, solitudine e umidità si compensano meglio con l’alcol. Con l’aria condizionata ci sono in albergo americani giganti, tristi, corsi con foulard e catene, grassi greci, o libanesi, col rosario, ingegneri biondi, tedeschi o polacchi, incerti, teste rasate da negrieri, che è la soma di una tribù gabonese, sopra bubù fruscianti, sbirri francesi che tengono a distanza i secondi africani, cui i berretti rigidi, le spalline e le scarpe danno movenze da scimmie.
Qui padre Bayer c’è, in vista al bancone del bar, che ha lasciato il clergyman per la talare e la fascia dell’ordine, con un boccale da un litro e un grosso sigaro. Volta le spalle alle signore ma non si nega ai giornalisti. La sua organizzazione ha fatto apprendistato nel dopoguerra, allestendo il “corridoio italiano” per l’espatrio in Sudamerica di Eichmann, Mengele, e altri buoni cristiani boia, nascosti da convento in convento, muniti di passaporto della Croce Rossa e trapiantati oltreoceano con un piccolo capitale di avviamento. Padre Bayer non lo nega, anche se si fantasmizza troppo il nazismo, con l’operazione “Odessa” e altrettali, che fu invece di pietra, violento ma stolido, perfino limitato, e lo spiega così:
- Sapevamo che alcuni erano SS. Ma le SS erano anche al fronte, non potevamo ridurle agli orrori. Di cui d’altronde all’epoca si sapeva poco. - È affabile, è greve, ha gli occhi vitrei, illeggibili. È monsignore. In gioventù è stato interprete della Luftwaffe in Italia, e personale di Kesselring nella trattativa per Firenze città aperta. La notte che decisero di far saltare i ponti di Firenze si vanta di aver salvato i beni di un bigiottiere amico suo, con negozio in por Santa Maria, e quindi fa fatto pure lui la Resistenza. Ora accoglie i profughi dell’Est, essendo egli stesso della Slesia.
Padre Bayer è tranquillo, gli ostaggi sono con un suo uomo, padre Byrne. Il papa ha inviato a Ojukwu un appello. Dev’essere un segnale, come a dire “i soldi sono al sicuro in Svizzera”. E gli scampati arrivano, passando da Ojukwu a Byrne, da Byrne ai portoghesi di São Tomé, il cui governatore fortemente ambisce alla croce di cavaliere della Repubblica, e da São Tomé a Libreville, si fa il trasbordo con l’aereo aziendale.
(da Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo, in via di pubblicazione)

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