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mercoledì 25 febbraio 2015

Lo scandalo Sofri - il caso della vittima colpevole

Un’apologia della grazia a Sofri – il sottotitolo è “Dalla condanna alla «tregua civile»” - che involontariamente, dopo la presidenza Napolitano, riporta al cuore della questione. A dieci anni dall’uscita, la perorazione di Cazzullo è per questo forse più interessante.
Ai fini della grazia, Cazzullo esclude alcune cose. Di Lotta continua, che era violenta. Sofri no, Lc sì. Nel mito gappista, dei “Senza tregua”, anche in occasione dell’assassinio di Calabresi – i Gap sono la parte meno efficace della Resistenza, ma sono il terrorismo urbano, che tornerà negli anni 1970 coi Tupamaros e altre bande sudamericane, e “Senza tregua” è il suo manuale italiano. Cazzullo lo ricorda, di “Lotta continua”, il giornale, che scrive: “La violenza gappista è giusta e rivoluzionaria”. E cita gli inni alla violenza, sempre del giornale: all’assassinio di Calabresi nel 1972, e ancora nel 1973 di Carrero Blanco e dei fratelli Mattei - uno dei quali aveva otto anni. Ma sottovoce. E ne esclude il contesto, culturale e storico: la Rivoluzione Culturale cinese, le Guardie Rose, Il libretto di Mao, i colonnelli in Grecia e la semimilitarizzazione del Mediterraneo, i Tupamaros col terrorismo urbano. Esclude anche la “scena del delitto”: Milano, con piazza Fontana e il linciaggio di Calabresi. Manca “l’Espresso”, sul quale Scalfari raccolse nel giugno 1971 ottocento firme contro Calabresi, manca Feltrinelli, manca Camilla Cederna, “Pinelli, una finestra sulla strage”, pubblicato da Feltrinelli a metà 1971. Mancano le colpe dello stesso Calabresi. E mancano le diffidenze dell’apparato repressivo, magistrati e polizie, nei confronti di Calabresi.
Questo ancora può essere giusto. Ma, forse per facilitare la pratica, Cazzullo fa di Lotta continua una costola del Pci. No. Questo è importante per capire il prosieguo della vicenda, con la carcerazione e le assurde condane. Sofri sì, in parte, all’origine, Lotta continua no. Anzi, è nata e si è sviluppata in opposizione al Pci. Sofri stesso non ha più avuto tessere dopo quella giovanile del Pci, eccetto quelle radicali. E si era avvicinato politicamente al Psi, dal rapimento e l’assassinio di Moro in poi, a una parte del Psi, quella più in sintonia con le lotte di libertà, che Claudio Martelli negli anni 1980 impersonava. Ed è qui che s’innesta il caso Sofri.
Sofri è la pietra d’inciampo e la prima vittima della reazione. Che sarà cieca e assoluta. Contro ogni evidenza dibattimentale e anzi contro le procedure, con la distruzione in massa di tutte le prove del (non) reato - tutte tutte no, la maggior parte.
Come nasce Sofri
Il cuore della questione è: come è nata la questione Sofri?  Dalla testimonianza di Marino. E com’è nato Marino? Dalla frequentazione del Pci. E dalla reazione giudiziaria al rovinoso referendum sulla responsabilità civile dei giudici promosso dai radicali e dai socialisti per i Morti del 1987, con l’80 per cento di voti in appoggio, e un 65 per cento di votanti, due record. A poco più di un anno, il tempo di preparare la trappola, dal referendum stesso. A opera di inquirenti di destra, missini. In contemporanea con la parallela offensiva che, sempre sul lato missino, lanciava in Calabria contro i socialisti il giudice Cordova.
Il fasciocomunismo, come allepoca si sarebbe detto, non è inventato - né è invenzione posteriore di Pennacchi romanziere. Né sono eccezioni Marco Travaglio firma dellUnità e DAvanzo di Repubblica”, altri Cazzullo può trovare agevolmente al suo giornale. Col Pci che sostiene Cordova, che pure professava le sue idee - isolando e mettendo nel mirino Falcone - etc.. Sofri è il primo anello di un aggiramento del Psi che si concluderà nel 1992, sul terreno più fertile del finanziamento illecito. Il cuore della questione sono le condanne preconcette, in tribunale e fuori. Dei giudici, del Msi e del Pci.
L’opinione si può aggiungere dei compagni di strada di Sofri, scrittori, critici, giornalisti, sociologi, psicologi, ambientalisti, che videro in Marino Gasparazzzo e in Sofri il cattivo maestro, il vile presuntuoso. Mosca cocchiera di questa opinione si può prendere l’ubiquo Franco Fortini, l’intellettuale onesto per definizione, moralista incontenibile e stolido, che se ne fece sostenitore sul “Manifesto”, denunciando “l’ipocrisia generale” e anzi la “congiura”, dell’“arrogante pregiudizio d’innocenza assoluta e metafisica”. Subito a caldo, subito dopo l’incriminazione di Sofri. Pomarici e Bonaventura non avrebbero mai osato aspettarsi tanto. Senza pregiudizio per Sofri, per carità, ma per il bisogno di denunciare il conformismo degli intellettuali di sinistra, etc. E senza prove, certo, il critico non deve cercarle, il critico risponde alla sua coscienza - il sovietismo è un fatto di “buona” coscienza. Ma questa opinione si può compensare col pregiudizio favorevole. Giudici e Pci invece agivano, il loro pregiudizio fu solido.
Il vero processo
“Per il sostituto procuratore Ferdinando Pomarici non ci sono dubbi: Leonardo Marino dice il vero quando confessa d’aver guidato l’auto, quando accusa Ovidio Bompressi d’aver sparato, quando dice che i mandanti furono Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Undici mesi esatti dopo i mandati di cattura, diciassette anni dopo l’omicidio, l’inchiesta sulla morte del commissario Luigi Calabresi è chiusa” – “la Repubblica”, 29 giugno 1989. Ma il vero processo è ancora da fare.
Sofri è stato accusato, processato e condannato sulla stampa, prima che nei tribunali, senza mai essere sentito. Sofri non ha mai avuto udienza, nemmeno come parte lesa, benché accusato di un assassinio, alla Procura di Milano. Solo un colloquio derisorio col giudice Pomarici, di cui non resta nemmeno traccia agli atti: il giudice fu elusivo e non gli disse niente: “Se la caverà con niente”, una cosa del genere. Un’indagine e un’incolpazione dunque singolari.
Subito le indiscrezioni passate all’“Unità” e a “Panorama”. Ogni pochi giorni una notizia scaccia notizia, tutte infondate, tutte gravi: covi di armi, cascine nascoste, l’arma del delitto, testimonianze anonime sicure, partigiani sbandati, arresti e controarresti. Infine, dopo un anno, l’accusa formale. La fantasia malvagia non difetta, o l’arsenale della disinformazione: “Panorama”, diretto da Claudio Rinaldi, ex di Lotta continua, era allora di sinistra, la scelta dei cronisti giudiziari mostra in radice la “costruzione” del caso. Con “l’Espresso”, che come “Panorama” era pieno di dossier riservati, che si sbracciava per tenere il passo del concorrente nelle grazie della Procura di Milano – pubblicò perfino una serie di intercettazioni di telefonate di amici e conoscenti a casa Sofri, additandoli in neretto. Era tutta qui l’“inchiesta” di Pomarici. Col patrocinio di Borrelli, il futuro Grande Inquisitore, inaugurando la serie di processi, di fonte quasi sempre oscura, che s’imporrà come Mani Pulite. Col sistema dell’indiscrezione pilotata, prima che la vittima possa difendersi. I metodi cioè della disinformazione, la specialità dei servizi segreti.
Nella fattispecie, il rinvio a giudizio inaugurava una serie di dibattimenti che resteranno una vergogna del sistema giudiziario, con giudici violenti in aula, irridenti nelle sentenze, o apertamente truffaldini. Una sentenza d’assoluzione fu scritta in modo che venisse cassata. Fu scritta dai due giudici togati, Lucilio Gnocchi e Ferdinando Pincione, contro i sei della giuria popolare che avevano imposto l’assoluzione: per 382 pagine Gnocchi e Pincione elogiano Mario (“è stato per anni interno in un Istituto di Salesiani a Torino e ciò non può che avere lasciato tracce indelebili nella sua personalità morale”), e mettono in dubbio le testimonianze a discarico, nelle residue quattro dispongono l’assoluzione. Senza nessun riscontro: lo storico Ginzburg ha analizzato riga per riga le prime due - e  poi definitive – sentenze di condanna, quelle di Minale e di Bertolé Viale, e ci ha scritto sopra un libro, “Il giudice e lo storico”, con coda di lettera aperta al ministro della Giustizia Flick, avendo scoperto che “i riscontri alle accuse di marino non esistono”. Mentre gli oggetti del reato sparivano, erano distretti, o non erano cercati: l’arma, le automobili, i vestiti, le pallottole. E i testimoni oculari derisi - Dario Fo ci poté fare una “commedia” piena di mancanze, col tempo e le distanze variabili. Sull’unica prova dell’accusa di Marino, livorosa ma incerta.
Si doveva colpire Sofri, e fu fatto. La controprova è che i suoi correi, Bompressi e Pietrostefani, vennero trattati l’uno con clemenza, dopotutto era per l’accusa l’assassino, l’altro nemmeno cercato, al suo lavoro in Francia. A Bompressi la grazia è stata concessa da Napolitano subito, subito dopo il suo insediamento al Quirinale – tanto in fretta che si dimenticarono di preavvisare il familiari di Calabresi. Anche Marco Boato e Paolo Liguori furono inclusi nell’eliminatoria, ma in qualche modo la scapolarono – Marino, per loro come per gli altri, a giorni ricordava a giorni no, ma per loro alla fine fu deciso per il no.
Lavorare coi servizi
Il giudice Pomarici lavorava con i servizi segreti. Il colonnello Umberto Bonaventura, carabiniere, veniva dalla famigerata divisione “Pastrengo”, non una buona scuola (c’era stato Dalla Chiesa ma anche Palumbo, e lo stupro di Franca Rame), ed era dei servizi segreti, specialista della controinformazione. Tratterà lui il “Dossier Mitrokhin”, che infamerà non pochi giornalisti onesti. Il generale dei carabinieri Bozzo, che lo ebbe ai suoi comandi, ne conserva una buona opinione, ma ha voluto dire che non ha apprezzato il modo come l’allora maggiore Bonaventura raccolse la testimonianza di Marino contro Sofri, soprattutto non la decisione di remunerarlo.
Collaborano (collaboravano) con i servizi molti dei sodali di Sofri. Forse non molti, ma alcuni sì. Nacque con questo caso la commistione letale media-giudici. Letale per la democrazia, i condannati in genere poi vengono recuperati - quelli disponibili, non Moro per esempio.
Pomarici e Bonaventaura erano incaricati delle indagini sull’assassinio di Calabresi da subito, nel 1972. E si erano perduti in ipotesi fantasiose. Dovevano non fare la vera indagine? A che cosa lavorava Calabresi quando fu assassinato? Calabresi era vice-capo dell’Ufficio politico della Questura quando fu assassinato. In servizio attivo. Non passava le giornate nelle polemiche la causa con Lotta continua, come narravano i giornali. 
Vittima, ma colpevole
Sofri ha voluto stare “dentro il processo”, prendendolo per buono. Si è anzi messo poi con i suoi
carnefici, al gruppo L’Espresso-la Repubblica, e ai festival dell’“Unità”, o con l’intrattabile Tabucchi, altro grande egotista, bolscevico postsovietico, e quindi è come se si considerasse sì vittima, ma colpevole. Non facendo forse torto a sé, ognuno vive la sua vita, ma sì al lavoro di se stesso e dei suoi compagni, e alla verità storica. Che ci dev’essere, perché no – troppo riflusso finisce in gastrite, non platonica.
Vittima colpevole con più ragione si direbbe Calabresi. Il commissario è però uno dei pilastri della Seconda Repubblica, e quindi non lo diremo. La Seconda Repubblica ha alcuni santuari che non è opportuno penetrare. Un altro è la pronta liberazione degli assassini dichiarati e irredenti di via Fani e di Moro prigioniero inerme – un piccolo Isis – a opera degli stessi che vollero Moro morto.
Ma è al Pci, per restare al caso Sofri, che il pregiudizio porta direttamente – Sherlock Holmes non avrebbe avuto dubbi. Non quello dei moralisti e gli opportunisti, compresi giornalisti celebrati, ma quello solido dei politici, dei loro referenti nell’amministrazione e le polizie, e dei giudici di partito. Che la condanna precorsero in pareri e considerazioni, e anche in dibattimento. A partire da Manlio Minale, il giudice del primo processo, che contro ogni evidenza da lui stesso improvvidamente sollevata in dibattimento, lo chiuse bruscamente e decise la condanna poi definitiva – poi il giudice diventerà Procuratore Capo. Con Laura Bertolé Viale e Gerardo D’Ambrosio. Coperti dall’andreottiano Borrelli, il Procuratore Capo. E il duo Lucilio Gnocchi e Ferdinando Pincione della sentenza suicida.
Del Pci
Del Pci sono i primi confidenti di Marino. Del Pci il primo collegamento tra Marino e Bonaventura. Del Pci – del pool giudiziario “l’Unità”-“Panorama”-Procura di Milano-servizi – la campagna di stampa che accompagnò l’incriminazione e forzò la condanna. Cazzullo ricorda il senatore Bertone, come tramite coi servizi. Ma si schierarono molto politici subito, i giornali di partito, e anche l’Anpi, l’associazione dei partigiani. Ancora nel Duemila Piero Fassino, ministro ex Pci della Giustizia, non solo si rifiutò di proporre la grazia per Sofri, come avrebbe dovuto nella vecchia procedura, ma per non scarcerare Sofri non propose nemmeno l’indulto, benché lo chiedesse il papa, per il giubileo del millennio.
Con Napolitano la grazia non sarà nemmeno discussa, e Sofri si farà tutto il carcere, fino alla scadenza della pena nel 2012. Caso raro, anzi unico, nella giustizia italiana. È l’unica delle tre presidenze della detenzione che non hanno discusso la grazia. Lo fece perfino Scalfaro, in medias res. Mentre Ciampi arrivò a promuovere una decisione della Corte Costituzionale che gliene attribuisce la facoltà anche col parere contrario del governo. La pronuncia della Corte, a prevalenza ex Pci, arrivò tre giorni dopo la scadenza del mandato di Ciampi. In occasione della grazia per direttissima a Bompressi, il proponente Mastella, ministro di Giustizia, annunciò che la proposta era in arrivo anche per Sofri, solo un po’ più complicata. Ma non è stata mai proposta, né da Mstella né da Napolitano, che dopo la sentenza della Corte Costituzionale poteva agire di sua iniziativa.
Ma non c’è scandalo, non più. Sofri, che avrebbe potuto essere Sofri dopo la caduta del Muro, si è invece appiattito sul sovietismo di riporto, che tanto ancora governa l’Italia – pensa di governarla, attraverso un giornalismo in ritirata (o non sarà disfattista?).
Aldo Cazzullo, Il caso Sofri, Mondadori remainders, pp. 165 € 4,20

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