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venerdì 20 luglio 2018

Amori tristi di poeti


La destinataria è Bruna Bianco, piemontese di Cossano Belbo, trasferita con la famiglia in Brasile a sedici anni, nel 1956, che dieci anni dopo si reca a San Paolo a incontrare Ungaretti in un giro di conferenze e fargli leggere i suoi versi, accendendolo di fulmineo amore. L’ottantenne “Ungà” ne resta folgorato, e per due anni buoni la tempesta di lettere infiammate.
Anche infiammatorie? Non si sa. C’è sfoggio di viaggi a Londra, e incontri, con molto name dropping, Allen Ginsberg, Ted Hughes. Il curatore Silvio Ramat, montaliano racé, non chiarisce. Di solido, si sa che invece di Bianca arriva in Italia il fratello Marco, per studiare a Torino, al Politecnico. E che la coppia si costituirà, a fine gennaio 1968 a Roma, ma per un viaggio turistico di due mesi, in varie località italiane, da Canelli a Pompei, in Germania e in Svizzera. Lei figura essere diventata “un importante avvocato di San Paolo del Brasile”.
Una raccolta di profonda pena, sugli amori dei poeti. Assoluti e stolti. Lui vive il suo amore con amuleti e sortilegi, e poetandolo. Si dichiara democristiano - “cristiano di sinistra”. Le rimprovera errori di grammatica. È a ottant’anni quello che è sempre stato: entusiasta e ingenuo. Avendolo incontrato a casa sua fuori all’Eur nell’autunno del 1969, aggregato per curiosità a una giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno” che gli carpiva un’intervista con la solita scusa del Nobel imminente, Ungaretti si presentava piegato in due, il testone sollevato in aspetto leonina, lo sguardo chiaro sempre fulminante, sempre avido e lagnoso dei mancati riconoscimenti, capace di bersi tutto, anche la piccola beffa della giornalista.
Silvio Ramat, Lettere a Bruna di Giuseppe Ungaretti, Oscar, pp. 658 € 21

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