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sabato 21 luglio 2018

Stranieri all'immigrazione

C’è confusione, anche se i filosofi del libro sono due - Bauman è presentato da Donatella Di Cesare. Parte della più generale confusione sulla missione umanitaria, che è succeduta di punto in bianco alla competizione ideologica. Un assurdo cascame della stessa: della superiorità della parte vincente, una superiore condiscendenza - si sono fatte e si fanno guerre umanitarie….
Non si sa niente dell’Africa. E anche del Medio Oriente, si sa poco più di niente. Pur essendo l’una e l’altro stati scoperti da tempo, neanche tanto remoti, anzi alla porta di casa, e da tempo nel Grande Gioco kiplinghiano, dell’imperialismo, ora sotto la forma della globalizzazione – che Bauman confonde con “un solo pianeta, una sola umanità”. L’Africa, dopo le indipendenze cinquant’anni fa, si è eclissata e più non ce ne occupiamo, se non per i tanti inermi africani che vengono a morire nel canale di Sicilia. E non si pensa di doverlo fare. I giornalisti, pur a caccia di storie strane o avventurose, non vedono quelle africane: di giovani reclutati nei villaggi e nelle periferie del continente per costosi della speranza, che si riducono a ingrossare le fila nelle città europee delle piccole mafie, per lo più africane, dei lavori meniali, degli ambulanti di falsi, dell’elemosina, e anche del malaffare, droga e prostituzione – un  solo reportage è stato fatto, dalla Nigeria, per un settimanale americano, il “New Yorker”(uno solo). I filosofi, pur compassionevoli, non ci pensano nemmeno. 
Dietro l’ovvio, “noi siamo un solo pianeta, una sola umanità”, l’approccio sbagliato. Donatella Di Cesare ne fa involontaria summa nella pur breve introduzione. La destabilizzazione del Medio Oriente dice dovuta a (“seguita a “) “gli azzardi politici e militari – malconcepiti, terribilmente miopi e dichiaratamente abortiti – delle potenze occidentali”. Occidentali, che vuol dire?E quali azzardi, di Bush jr., di Obama, di Trump? Di Sarkozy o di Hollande? Di Merkel, per caso? Della perfida Albione? Nel Medio Oriente?
Subito dopo una pagina mozzafiato sugli assetti africani e mediorientali, improvvisamente “teatro d’interminabili guerre tribali e settarie, di stragi, e delle imprese di banditi che spadroneggiano senza sosta e nel disprezzo di qualsiasi regola”. Non improvvisamente, effetto delle guerre umanitarie. Ersatz effettivamente subdolo delle guerre di liberazione, per esportare la democrazia e il benessere, che hanno dissestato una mezza dozzina di paesi, Egitto, Libia, Siria (e Libano), Iraq, Afghanistan.
E ancora: “Siamo tutti stranieri residenti”. Bella formula, ma non lo siamo, ed è meglio così – l’ideologia dello sradicamento ha causato brutti lutti, non c’è bisogno di essere Simone Weil per saperlo. Anche per poter essere di aiuto agli sradicati.  
O l’Africa, ancora terra incognita. A Sud del Sahara è sempre stata più “uno scenario di caos senza fine”. E quindi? Non si può dire questo caos effetto di “un mercato globale delle armi privo di qualsiasi controllo” e alimentato “da un’industria bellica assetata di profitti”: si scambia l’effetto per la causa.
Siamo solo alla quinta pagina, ma ce n’è abbastanza per vedere gli assunti, benché generosamente indefiniti, di Baumann traballare. L’inventore della “società liquida” ha svolto bene il compito, informandosi in dettaglio malgrado l’età avanzata – questo è il suo ultimo libro – a New York e Washington, a Bruxelles e altrove in Europa. Perfino con Christopher Catrambone, quello del business dell’accoglienza. Ma stando ben al di qual del Mediterraneo: non sa, e purtroppo non se ne occupa, di che cosa realmente stiamo parlando.
Tutto corretto, con citazione di papa Francesco. Con corredo di Kafka, come a dire l’incomprensibilità delle resistenze all’immigrazione di massa. Ma uno stridulo senso di non appartenenza permea Bauman. “I governi non hanno interesse a placare le ansie dei loro cittadini”, afferma nel mezzo del terrorismo islamico tanto crudele in Francia. Anzi, alla “lotta ai terroristi” dà “il ruolo di «primo volino»”, nell’orchestrazione sottintesa del terrorismo. Dell’Europa scrive come di un continente razzista, mentre non lo è – è uno dei pochi posti al mondo che non lo è. Dell’America prende per  buono il background del fenomeno Trump nell’analisi di Robert Reich, “Donad Trump and the Revolt of the Anxious Class”: “Due terzi degli americani vivono con i soldi contati. La maggior parte può perdere il lavoro in ogni momento. Molti appartengono alla crescente manodopera «a chiamata», lavorano solo se e quando servono, pagati a discrezione. Se non ce la fanno a pagare l’affitto o il mutuo, il negozio di alimentari o le bollette, finiscono a gambe all’aria”. Se fosse vero, sarebbe da rivoluzione di piazza, altro che Trump. Bauman lo crede vero, ma non critica i governi della globalizzazione che avrebbero così immiserito l’America, da Clinton a Obama, e si diffonde sul voto a Trump come un rigurgito di razzismo.
Ci sono sempre migrazioni, dice, “le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno nuovo”. Ma per contiguità, territoriale, etnica, di fede, di lingua, di storia. Non si è mai ipotizzata un’Europa asiatica (cinese, Indiana). O un’Asia europea – è semplice: l’India non è la Germania. Gli europei ci hanno provato, in America Latina e in Africa, ma in programmi che si chiamavano di conquista, imperialisti.
I buoni propositi non esimono, se inducono all’errore. E anzi danneggiano la questione o causa, non la aiutano. Occorre tirare fuori l’Africa, e lo stesso Medio Oriente, dalla minorità. Bisogna dare – contribuire  a dare, non si può essere molto paternalisti - un futuro all’Africa e agli africani, ma con gli africani. Non da missionari, non da volontari, per quanto benevoli. 

Zygmunt Bauman, Stranieri alle porte, Corriere della sera, pp. 104 € 7,90


















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