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domenica 8 dicembre 2019

L’asse Israele-Arabia Saudita e il nuovo atlante mediorientale americano

Con Trump, ma già con Obama, Washington punta dritto su Israele nel Medio oriente, trascurando le altre variabili. Per primi i palestinesi, se non come questione di polizia interna, a Israele e ai regimi arabi confinanti. Puntando, con Israele, su un asse arabo anti-sovversione, e quindi antipalestinese: Egitto, Emirati (Abu Dhabi, Dubai), Arabia Saudita – con una coda sunnita, allungata alla Turchia.
Si trova il riscontro di questo riallineamento in Libia. Dove gli Usa non difendono il governo Serraj, il governo eletto e da loro patrocinato, contro Egitto, Arabia Saudita, e Turchia, che armano e sostengono il generale ribelle Haftar. Anche a costo di mettere in gioco, al confine italiano, la Russia, che ai tre paesi islamici e a Haftar fornisce gli operativi, sotto forma di consulenti militari - la stessa Russia che gli Stati Uniti impongono agli europei di sanzionare economicamente.
Si può liquidare il riallineamento come trumpiano, quindi soggetto agli umori, e alla durata, del presidente americano in carica. Ma è una strategia in atto da tempo. Con Trump il dipartimento di Stato ha rafforzato l’asse, già delineato con Obama, col governo  israeliano di Netanyahu – Obama è il primo presidente Usa che non ha proposto un piano di pace. Quasi un regime, il governo d Netanyahu, essendo durato per dieci anni, e ancora condizionante. Centrato sull’opzione, dominante in Israele anche fuori del governo, di cancellare la risoluzione dell’Onu del 1967, con Gerusalemme doppia capitale e il ritorno della Cisgiordania agli arabi.
Trump non è giunto a tanto, ma solo formalmente. Di fatto ha assegnato Gerusalemme a Israele, capitale esclusiva. E potrebbe ora accettare, sempre unilateralmente, l’annessione della Cisgiordania a Israele, come Netanyahu chiede.
Tra i due assi privilegiati, con Israele, e con la coalizione araba conservatrice, Washington è riuscita a creare anche un collegamento. Fino a ieri impensabile – impensabile che l’Arabia Saudita, depositaria dei luoghi santi islamici, accettasse Gerusalemme capitale di Israele, accettasse Israele, e cooperi oggi con Israele contro Assad. Questo collegamento il ministro degli Esteri israeliano  Katz esplicito ha spiegato a Roma, al MedForum, contro il regime siriano di Assad, sempre inviso ai principati arabi per motivi confessionali, e a Israele per la protezione che accorda ai palestinesi.
Quanto il riallineamento possa durare è incerto. I regimi della penisola arabica si presentano molto stabili, ma c’è incertezza su questo. E un cambio di regime non consente proiezioni, nemmeno ipotetiche. Ma più pesa l’evoluzione dell’Iran, il paese e il regime dominanti nell’area, con cui Washington ha tentato in un primo tempo di ristabilire il rapporto perduto con la caduta dello Scià. Più forte militarmente e più stabile socialmente che non le monarchie petrolifere.
Il riallineamento in atto però non trova riserve in America. Sono atti di forza unilaterali che il dipartimento di Stato ha promosso, profittando della “diplomazia brutale” di Trump. Ma senza mai una opposizione, in nessun ambito. Non di fatto e nemmeno formale.
  

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