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domenica 8 dicembre 2019

Ma Tosca non combatte per la libertà

Una “Tosca” originale per l’apertura alla Scala, di Chailly e Livermore. Che è piaciuta al pubblico, forse per la sorpresa, ma con più di una forzatura. Meglio la ripresa della partitura originaria dell’opera, che poi Puccini rivide (ridusse) per molti aspetti, il numero dei personaggi e i passaggi, salvando solo le arie che la renderanno celebre. Il soggetto guadagna dal riacquisto, in particolare il piano astuto di Floria Tosca e la sua vendetta contro il tormentatore Scarpia, che uccide con pugnalate ripetute e anche con le mani, strangolandolo dopo morto. Tanta novità ha probabilmente spinto Livermore a strafare. Il dramma sentimentale verista – sessuale – avvolgendo in una scenografa monumentale, e in un sentito risorgimentale, di libertà. Che col dramma di amore infelice collimano poco e disturbano la ricezione, specie le arie celebri.
Gli interpreti assecondano bene Livernmore. Soprattutto Luca Salsi, il baritono che è un incredibile Scarpia, sempre nel tono giusto, nella dizione e nel canto, e Francesco Meli, il tenore Cavaradossi. Meno Netrebko, che non ha più il timbro scintillante di qualche anno fa, e si presenta gonfia, una “primadonna” vecchio stampo a cui il fisico veniva perdonato in virtù della voce, mentre oggi l’immagine è anch’essa preminente – e poi Tosca, come ha spiegato Raina Kabaiwanska a margine della serata, la Tosca per eccellenza, con oltre 400 impersonificazioni, è doppiamente primadonna, essendo una cantante di suo, che si presenta all’amato perseguitato Cavaradossi e al pubblico come una cantante capricciosa di successo.
La monumentalità del primo atto, che Livermore ha voluto nelle scene, nella recitazione, nei movimenti corali, si scontra con la semplicità del tema: mettere in salvo un amico che al tempo dell’occupazione napoleonica è passato col nemico, con Napoleone, seppure nel nome della Repubblica e la libertà. Con scene da giudizio finale mentre c’è solo una fuga dal carcere da proteggere. L’opera verista si vuole semplice, solo così colpisce. Nel secondo atto il motivo libertario viene sottolineato, che non c’è nell’originale: siamo nei giorni di Marengo, in cui Napoleone sconfigge gli imperiali, e quindi anche i Napoletani, e si riprenderà Roma, ma non si fa festa a Roma per questo. L’occupazione napoletana, di cui Scarpia è funzionario, non è stata maledetta a Roma, mentre quella napoleonica sì, essendo consistita in saccheggi e abusi, di Stato e della truppa, com’era d’uso per le armate rivoluzionarie francesi. 
I librettisti Illica e Giacosa, e lo stesso Puccini, si limitato ad accennare alla questione – siamo nel 1900, in clima ufficialmente ancora risorgimentale e anticlericale, ma senza illusioni.  Floria Tosca è una cantante innamorata, non un’eroina.
Giacomo Puccini, Tosca, Teatro alla Scala

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