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venerdì 24 settembre 2010

Non è più l’Italia dell’Olimpiade, è Milano

Non è il tipico ricordo che il salotto di Vespa vuole mieloso, né l’emozione di ospitare l’Olimpiade, evento eccezionale: l’Italia nel 1960 era veramente diversa. I fratelli D’Inzeo erano reduci dall’epurazione per fascismo, ma nessuno gliene faceva colpa. Nino Benvenuti, il più simpatico di tutti, era neofascista dichiarato. E quel Berruti che parlava di sé in terza persona? Emozionò tutti il salto di Valeri Brumel, uno di Mosca. Gli eroi dell’Olimpiade furono due neri, Wilma Rudolph e Abebe Bikila, lei reduce dalla poliomielite, lui poverissimo, beniamini di tutti senza supponenza e senza astio – c’era Cassius Clay e vinse, ma non era ancora la farfalla che sarà, sui suoi cento chili. Nessuna forma di quel livore che ora investe anche i vicini di casa civilissimi slavi, e i latinissimi rumeni. Lo scandalo di Fiumicino era emerso, ma nulla al confronto di quello che sarà ed è Malpensa: tutto politico, su piste fantasiose (la nebbia, i terreni cedevoli), senza i miliardi di perdite in capo allo scalo milanese. E bisogna pensare che l’Olimpiade si apriva, a fine agosto, ad appena un mese e mezzo dalla strage di Reggio Emilia il 7 luglio, che chiuse una settimana di manifestazioni con una diecina di morti, uccisi dalle forze dell’ordine.
Ma proprio per questo era un’altra Italia. Gli scontri e le uccisioni di Genova e Reggio Emilia, la peggiore crisi dell’Italia repubblicana, erano pur sempre un fatto politico, che la politica governava, seppure malissimo. L’Italia continuava a essere Italia, senza scomuniche né apostasie, e senza roghi. Non odiava gli ospiti, e non si odiava ogni giorno in pazza e al Parlamento, a ogni ora del giorno inventandosi veleni e infamie, sui nemici e anche sugli amici. Basta leggere del resto un giornale del 1960 e uno di oggi. Si entra in un diverso modo di fare l’informazione. La Rai all’epoca non avrebbe potuto dire il Vaticano un riciclatore di soldi, né un ministro concussore, senza un qualche fondamento, e ancora con rispetto per l’istituzione, mentre oggi è costretta a farlo, basta una denuncia anonima, e il Vaticano dire una mafia. Ma c’entra soprattutto un diverso modo di essere dell’Italia, che oggi è milanese.
C’è un momento preciso in cui l’Italia cambia pelle, e da paese solido, malgrado la sconfitta e la ricostruzione, e poi il terrorismo, diventa la palude di oggi, e si situa attorno al 1990. Questo è già un fatto storico. C’è un prima e c’è un dopo: il dopo è la caduta del Muro, i referendum di Segni, la Lega, Mani Pulite e Berlusconi. Due fatti romani e tre molto milanesi. L’effetto maggiore della caduta del Muro è stato di privare “Roma”, cioè la politica, del carisma di cui beneficiava, fosse pure dettato dalla paura. Col Pci finiva la politica, quindi tutti i partiti. Mani Pulite sarà stata l’avventura di alcuni giudici golpisti che invece di colpire la corruzione come affermavano, che a Milano semmai hanno rinfocolato, hanno completato l’opera. Affossando la politica e lo Stato. Segni incautamente ha dato l’avallo istituzionale all’antipolitica e all’antistato. Che si sono completati con l’abbattimento del potere economico residuo dello Stato nel nome della libertà e del mercato. Cioè, esplicitamente, di Milano: dell’oligarchia del denaro di cui Milano è sede e beneficiaria.
L’odio, il sospetto, la guerra di tutti contro tutti. Tutto questo sono – lo sono stati per ormai vent’anni – la Lega e Berlusconi. Cioè Milano. Inneschi di un’antipolitica che si dilata come in un “superiore” fuoco d’artificio. Si vede al paragone tra l’Olimpiade del 1960 e la piccola olimpiade che, senza le gare, sarà l’Expo 2015. Che Milano vive come una lotta di tutti contro tutti – le turpitudini nascondendo dietro il goffo paravento della ‘ndrangheta (Boccassini, ancora uno sforzo!). Le leggi si rifanno ogni sei mesi, non ce n’è mai una giusta. Per non disturbare gli affari. I dossier si moltiplicano ormai a cadenza che non lascia respiro: non basta la giornata per leggere tutte le “carte”. Chi è in affari lo vede ogni giorno: la denuncia continua, contro ogni atto della Pubblica Amministrazione, che raramente viene dall’onest’uomo, quasi sempre dall’affarista peggiore, uno ammanicato con i tribunali. L’odio viene dalla corruzione al potere.

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