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lunedì 25 aprile 2011

Niente feste, libertà è shopping

Ci hanno tolto una buona metà delle feste, con la scusa che innescavano i ponti vacanzieri. Poi ci hanno costretti a passare la domenica ai centri commerciali. Ora ci vogliono togliere anche le feste “comandate”: si comincia dal primo Maggio. Resistono due giorni a Natale, due a Pasqua, e Ferragosto, ma scontentano i più – i commentatori e i loro giornali.
Perfino Dario Di Vico, il giornalista forse più vicino al sindacato, si scandalizza della resistenza della Cgil alla privatizzazione del Primo Maggio. Una certa sinistra è corriva alla modernità, intesa come shopping, il nome sacralizzato del consumismo, e lo santifica come lavoro - sic: chi consuma lavora. Celebra ancora la Liberazione, oggi, solo il giusto per guadagnarsi un minuto sui telegiornali, per il “teatrino della politica”, senza gusto e senza intendimento. Anche la chiesa è d'accordo, che un tempo non voleva nemmeno le partite nei giorni di festa. È una sinistra cattolica, Rutelli a Roma, Renzi ora a Firenze, di buoni credenti, che ha imposto l’apertura dei negozi la domenica. Ma sono soprattutto i governi di destra, da quello di Andreotti del 1972-73 all’ultimo di Berlusconi, che si penserebbero orientati a salvaguardare le tradizioni, che più ne fanno scempio. Questo governo che si vuole liberale ha peraltro esordito con una raffica di provvedimenti vessatori: niente vacanze, fanno perdere tempo, niente sesso, si viene mutati e schedati, e neppure assembramenti, in molti suoi comuni, di tre o più persone nei giardini pubblici.
O si può dire che è il mondo che va nel senso dello shopping valore unico, e chi sta in politica, a destra o a sinistra, si deve adeguare. Ma non è il problema dell’uovo o della gallina, i governi vengono sempre prima e stanno sopra la società.

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