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domenica 26 agosto 2012

Moro, Andreotti, i socialisti e la storia rimossa

Sul centro-sinistra, il grande rimosso della storia italiana (basta leggere Ginsborg), nulla è cambiato rispetto a vent’anni fa, quando i giudici ne affossavano il pilastro, il partito Socialista:
“Il centro-sinistra sarà stato l’esperienza innovativa più concreta nella storia della Repubblica e dell’Italia: diritto di famiglia, salute, lavoro, moneta e potere d’acquisto, ambiente e urbanistica, relazioni internazionali. Nelle future storie non bisognerà partire dal Risorgimento tradito ma dal centro-sinistra tradito.
“In estrema sintesi. Mentre la crescita impetuosa dell’economia avviata nel fascismo (banca, acciaio, infrastrutture, motorizzazione, ricerca), si riprende e consolida quindici anni dopo la guerra, la guerra perduta e quella civile, la democrazia ci impiega quaranta a consolidarsi, dopo i maldestri tentativi del giolittiano suffragio universale del 1913 e del 1919. Il governo, da sempre confinato nella Repubblica in anguste maggioranze di centro-destra, torna dopo quarant’anni al 1919, allargandosi ai sindacati e ai partiti popolari di sinistra. Indisponibile il Pci di Togliatti, partito d’ordine (di governo) ma subordinato a Mosca, l’apertura si fa con i ribellisti (autonomisti) socialisti. Finalmente l’Italia si dota, in un quinquennio o poco più, di leggi adeguate per il divorzio, l’aborto, la parità femminile, la protezione dell’ambiente (acque, paesaggio, coste), la sanità, il lavoro. Un “produttività” politica che avrà una ripresa, breve, ametà degli anni Ottanta, con la protezione del potere d’acquisto (referendum sulla scala mobile), e il riconoscimento internazionale, in Europa e nella guerra fredda (euromissili).
“Tutti i mali italiani derivano dal blocco del centro-sinistra sotto i colpi della strategia della tensione – piazza Fontana è anche un apologo, oltre che l’avvio forzoso della reazione. I terribili anni Settanta, le stragi, il terrorismo, la lottizzazione, e il democraticismo (parlamentarismo ostruzionistico), con l’abbandono di ogni progetto, e la rottura della capacità politica di rappresentare e mediare, a opera del Pci di Berlinguer, e dell’accoppiata Moro-Andreotti.
“Aldo Moro è l’artefice del fallimento. Non si può dirlo, poiché del fallimento è la vittima. Ma ne è stato artefice dichiarato, alla sua maniera involuta – l’attenzione al Pci e il disprezzo del Pci erano il suo modo d’essere integralista. Fin dall’inizio, quando si era proposto come il male minore nei confronti dell’animatore del centro-sinistra, Fanfani. Rubando con determinazione – Moro era inflessibile, durissimo – il ruolo del realizzatore del progetto allo stesso Fanfani. Contraddittorio quanto bastava per non sembrarlo Si impegna contro Segni nel 1964, ma copre De Lorenzo e anzi se lo tiene in caldo per il colpo decisivo quattro anni dopo: la denuncia del Piano Solo nel 1968, tutto lascia presumere sotto la regia di Andreotti, voleva significare l’impossibilità del centro-sinistra – l’amarezza delle “seconde” lettere di Moro dal carcere brigatista nasce da qui, dall’aver avallato i traffici del suo ministro della Difesa del centro-sinistra, Andreotti, nemico dichiarato del centro-sinistra stesso”.

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