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sabato 7 settembre 2013

La felicità fu Hitler

È il “romanzo” - ricordo in realtà - di una madre suicida, cinquantenne. Di un suicidio come “operazione paradossalmente vitalistica”, commenta Cusatelli, di una madre “per portare avanti la vita, per portare avanti la letteratura”, del figlio scrittore.
È il ricordo della madre di Handke, morta suicida l’anno prima, 1971. Di un’estranea tutto sommato, sebbene con “l’orgoglio che lei si fosse suicidata”. E il primo racconto non avanguardistico – progettuale, metodologico – dello scrittore.
Una donna piena di vitalità appare al figlio scrittore povera e banale, una semifolle come la condizione che precedette il suicidio. E grigia, monotona, senza risorse, senza amore, senza giudizio. Mentre visse un dramma interminabile, come avviene spesso a quelli senza storia, specie al confronto con l’Autore scialbo, quale emerge dai fatti elencati: figlia senza identità, in fuga, di amori squallidi, con figli non voluti senza padre, e aborti procurati, malattie “incurabili”, migrazioni, riemigrazioni, ubriacature, percosse, invalidità. In una vita breve. Una vita infelice, e felice. Di una che sentiva il “bisogno di raccontare”, di fissarsi di tanto in tanto. Al quale converte, sembra, il figlio – ma molte pagine sono ancora di incomprensibili tecniche narrative.
Perle (sfuggite?) sono la vita in Carinzia tra le due guerre e dopo, il (vecchio?) vagabondaggio tedesco, sformato, tra birra e botte, la vita al naturale, senza amore, senza desideri. E soprattutto la nazificazione come una festa - una verità assoluta, benché indigeribile e taciuta. Così come la guerra, finché fu vittoriosa. “Hitler alla radio aveva una bella voce”, la madre ricorda. E gli anni del nazismo, dall’Anschluss alla guerra vittoriosa, furono una festa per tutti, annota lo scrittore, per tutti i tedeschi: “Dovunque si guardava, una gran festa”. Il ritmo penetrò fin le plaghe remote e dissipate: tutti divennero parte di un avventuroso e gratificante disegno, “persino la noia dei giorni di lavoro prendeva un’aria di festa”, i paguri isolati si ritrovarono proiettati in comunità vivaci, simpatiche, “come se uno fosse dappertutto a casa sua”, si ballava, si rideva, e si facevano fotografie. Una liberazione.
Peter Handke, Infelicità senza desideri

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