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giovedì 14 novembre 2013

L’ultimo viaggio si racconta meglio

Si parta dalla fine, “Vesch”, un contributo al “Verri” del dicembre 1967 dedicato al teatro: è una singolare constatazione del fallimento dell’avanguardia, nel luogo della stessa avanguardia, e con l’intento di farsene mentore e interprete. Beffardo: “Non c’è Solvejg che tenga, il che è esemplificato, volendo, dal fatto che il teatro della crudeltà, in quanto Teatro resta un’utopia, in quanto Della Crudeltà è teatro della crudeltà nei confronti del teatro, e in quanto Teatro della Crudeltà non è propriamente teatro perché è un libro: Le Théâtre et son Double”. Della neo avanguardia, o Gruppo 63. Che magari non fallisce perché la sua cifra resta l’ironia, formidabile strumento passatista – “la cosa morta, sul catafalco, si muove”. O lettura saggia del reale, da realpolitiker, se si riflette che “la Rinascente”, ultimo luogo neo avanguardista del teatro, dopo le piazze, i talk show, i tinelli e l’analista, è diventato il luogo – tecnicamente il “non-luogo” – per eccellenza della socievolezza e la rappresentazione del reale – Filippini dice contemplazione. Nell’afasia. Le altre opere teatrali qui  riunite, “Flettere flette amore” e “Giuoco con la scimmia”, riflettono questa impossibilità – l’ironia dissecca, a tan to più nella verbosità.
Si ripropone Filippini narratore e commediografo con le ultime celebrazione del Gruppo 63, Una neo avanguardia molto established, Furio Colombo, Eco, Sanguineti, Porta…, professori, dirigenti editoriali, politici. Filippini si toglie due anni, sì da potersi dire ventenne, e non già trentenne qual era. L’ultima avanguardia, vista cinquant’anni dopo, è autodistruttiva, sterile – questo si vede a Roma con malinconica esposizione celebrativa al Parco della Musica, curata da Achille Bonito Oliva, Porta, Spatola, Balestrini, Schifano, “I novissimi”, la dimenticata antologia poetica, e “La nuova letteratura”, l’antologia narrativa rimasta ignota. Il Gruppo 63 fu solo cassa d risonanza per i suoi autori. Molti dei quali non ne condividevano peraltro più o meno nulla, Eco furbesco, Arbasino divertito, lo stesso Sanguineti.
È diverso per i racconti, meno programmatici. “Settembre” sì, un racconto sul modo di scrivere un racconto, è legnoso, da maestrino – specie al confronto con la presentazione, che Bosco riporta in nota, di Umberto Eco alla prima pubblicazione, sul “Menabò” del luglio 1962. Ma già con qualche notazione discorsiva: “Il vero personaggio”, benché ipotetico, “ha trent’anni, ed è spacciato”. Il racconto del titolo, l’ultimo di Filippini, che apre il libro, è invece accattivante: una sottile ma ribadita a ogni paio di pagine, martellante, forma di estraniazione. Di astensione. Qui come incapacità di amare, di empatizzare, entrare nell’altro. Con cui l’autore solo sa vivere come guardandolo al microscopio, vivisezionandolo anche, nervetto per nervetto. Conscio della propria impotenza. O dell’amore come fotogramma al montaggio, di un montatore freddo. Bravo perché freddo. Filippini è un fingitore che non sa o non vuole fingere. Per questo anche “scrive” poco. Scrive moltissimo, scrive ogni giorno, è la sua professione, di redattore, editore, inviato speciale,  ma poco come autore-fingitore. Una sorta di tantrista, che il piacere esercita in limine, con l’attesa, il rinvio, l’astensione.
Di questa astensione riesce però a fare, specie in “L’ultimo viaggio”, quasi un romanzo, infine materia di racconto: l’estraniazione di un’estraniazione. Avendo deciso, da ultimo, dopo l’impasse cui confina la parodia, per lo “scrivere spoglio”. Sul vissuto proprio, delle “enormi stanchezze”, l’alcol, la salute, la solitudine (di Filippini, compagno muto di banco al giornale, resta l’immagine di una testa arruffata, al volante della indiscreta Dino-Ferrari rossa, in piazza Rondanini, una piazza minuscola al centro di Roma che allora era un parcheggio, che il suo sguardo smarrito dilatava e svuotava). Seppure praticando l’astensione: “So di cosa ho taciuto, ma non ricordo bene di cosa abbiamo parlato”, si dice. Un’esistenza forse, sicuramente una pratica letteraria dominata dalla dilettazione inconcludente.
Alessandro Bosco, lo studioso che ne coltiva il patrimonio letterario, fa in questa svelta raccolta dei testi creativi - racconti e teatro - di Filippini quasi un’edizione critica. Piena di appigli coinvolgenti. Con un primo bilancio esegetico.
Enrico Filippini, L’ultimo viaggio, Feltrinelli, pp. 293 € 9,50

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