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domenica 3 agosto 2014

La sagra dell’io posticcio, fruttuosa

Blogger di tutto il mondo, rincuoriamoci! Il nostro libro dunque era stato scritto, già qualche anno fa, dotto e assolutorio: niente di cui pentirsi. Il diario è arte minore - premette la studiosa: “Il diario occupa una posizione tra le più basse nella gerarchia dei generi che si dedicano all’io. Autobiografie, confessioni, memorie, epistolari godono di una reputazione e di una capacità seduttiva assai più elevate”. Assai forse no. E qualche sottogenere – gli epistolari – non usa più, la comunicazione è ora istantanea e a perdere. Ma è vero che la letteratura dell’io prospera, e anzi è il segno del tempo. L’autofiction è il genere del Millennio, perlomeno negli Usa e in Francia, le due culture-mercato che fanno il presente. Mentre le memorie si vendono a carissimo prezzo e a milioni di copie, anche di figure di terza e quarta fila, sottosegretari, attricette, ladri, e perfino comparse di reality.
Viviamo in una sorta di sagra perpetua dell’io posticcio. Ma il genere si nobilita molto in questa rassegna. Simonetta Piccone Stella - col concorso, premette, di Andreina De Clementi e Marina D’Amelia - ne ricostituisce una genealogia nobile. Tra chi anticipò i blog, pubblicando il diario, di vita vissuta e di vita letta, o scrivendolo per la pubblicazione. - Stendhal, Baudelaire, Drieu, Musil. Le testimonianze, di eventi o epoche particolari. Tra esse molti diari del dopoguerra, coi nomi d’obbligo, Sebald, Jünger, Viktor Klemperer, e in Italia le tante donne - ancora mogli, sorelle, innamorate, insomma vicarie. E il mestiere di vivere, anche qui coi nomi d’obbligo: Kafka, Virginia Woolf, Pavese, Sylvia Plath. Il disagio cioè della condizione umana mescolato con la riflessione, pregressa o propria, dove il narcisismo si mescola all’incertezza. I diaristi che non si colpevolizzano si chiamano Stendhal, Baudelaire, Musil, Wittgenstein, Gide, Julien Green, Canetti, Larbaud, la lista sarebbe interminabile, o anche i fratelli Goncourt - e i “Saggi” di Montaigne?
Simonetta Piccone Stella privilegia i diari degli scrittori, escludendo quelli della “gente comune”, quali con dubbia categorizzazione sono stai raccolti da Saverio Tutino a Pieve Santo Stefano. Di ci fa del mestiere di vivere il mestiere di scrivere – “cammino facendo frasi, mi siedo architettando scene”, fa eco arguta Virginia Woolf. Tanto pù che la vita è irrelata, “sognata”, dice Kafka.
Una scrittura che propone una relazione intensa col lettore, di “compassione, repulsione, entusiasmo, pena, estraneità” ma sempre coinvolgente. Per l’autore è risarcitivo, il diario è “malleabile”, è “sperimentale”, è “libero”. Una sfida, a partire dal dottor Johnson e fino al beffardo Gombrowicz del diario in pubblico. Un’oggettivazione che crea (modula, modella): la “vita quotidiana” in sé è muta – quella del Bloom di Joyce richiede molta applicazione. 
Ma più che la funzione pubblica (“la retorica dell’intimità”, o della personalità), lo studio esplora la funzione privata e personale della diaristica. La erezione del sé a monumento, con effetti variamente costruttivi-decostruttivi. Di autorivalutazione o di svalutazione – molto dicono in questo senso i diari di Sylvia Plath e Leiris. Ma sempre di un sé che, benché esteriorizzato, in qualche modo scolpito, ma non mai espulso, impossibile, diventa un sostituto più che un termine di confronto, e alla fine un proprio reale. Il blogger si mette alla tastiera, potremmo dire attualizzando le ricerche di Piccone Stella, e si confronta con un blog che è suo ma anche non (più) suo.
Il diario-blog lo studio spiega come una forma del conosci-te-stesso esteriorizzata. Un altro-da-sé intimo, e insieme materiale. Dotato cioè di una sua solidità e non più conformabile. La forma si estende perché, per quanto incontrollata, prolissa, ininteressante, vuota, è pur sempre un dialogo, e una creazione. Di un altro io, sia pure appunto  posticcio, nel senso deteriore - non veritiero, fatuo..  
Simonetta Piccola Stella, In prima persona. Scrivere un diario. Il Mulino, pp. 144 € 11,50

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