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lunedì 4 agosto 2014

La dea delle piccole cose

“A morte!”, “A morte!”, lo “spettacolo” all’ultimo atto della banda Bonnot è ancora vivido dopo cent’anni, e ignari dei fatti – da ultimo: Bonnot e Dubois sparati e bruciati dagli sbirri per paura nella casa di Choisy-le-Roi dove si erano rifugiati. Colette alla Camera? L’aula sorda e grigia del Buonanima si fa solfatara. Proprio quella di Pozzuoli: “Bolle qui, fermenta appena là; ci sono zone inerti, che l’ebollizione non ha raggiunto, che non raggiungerà mai. Un angolo crepitante freme, si agita, come quei posti della solfatara in cui la sabbia, bollendo a secco, danza in grani irritati”. Colette in Corte d’Assise? La dark lady del triangolo assassino ipnotizza i giudici – e la cronista. Della banda Bonnot, anarchica e stupida (assaltava le banche), anche il terrorismo torna vivo: il processo l’anno dopo ai componenti processo. È anzi è un pezzo d’antologia – se se ne faranno - del terrorismo, come poi abbiamo saputo con le Br in tribunale, tra “insolenza” e “compiacimento di sé”, “la venerazione dello stampato, il fanatismo della parola difficile”: “intossicati” dal “veleno della letteratura”, con la quale “prendono contatto al modo dei bambini, degli illetterati  e dei selvaggi: col dramma”. Tanti tipi diversi, ma tutti “hanno purtroppo bevuto alla stessa pericolosa coppa: hanno letto”. C’è anche il dissociato, muto, triste.
Drammaturgie semplici, di eventi vari e tendenze (la fitness, la musica al ristorante, i numéro d’enfants), mostre, personaggi, di cui Colette fu cronista per “Le Matin” nel 1912 e 1913, brevi e brevissime. Che si rileggono dopo cent’anni come un mondo vivo. Sempre meno il personaggio, lei stessa,  di cui si compiaceva, e sempre più scrittrice, per grazia infusa, per lievito animale, per spirito lieve, una che resta del Novecento francese.
Colette, Contes des mille et un matins, librio, pp. 94 € 2

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