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domenica 14 settembre 2014

Il “culo di Gnesa” della filologia italica.

Cronache vivaci – non pregiudicate. Di cui la Calabria eccezionalmente difetta, sommersa com’è, non da ora, dalla cronaca nera. Non indulgenti, ma argute e serie, spiritose e pignole, “normali”. Cronache di tutto ciò che balzava all’occhio e all’orecchio del “giornalista”, rapido e sapido. “I Napoletani fanno il pane a guisa di fessa: ricordo dei Sigilinei cunni che i pagani offerivano a Cerere. Noi facciamo le minne di vacca. Con notizie agricole, minerarie, artigianali. Con un occhio speciale alle donne – “Oriolo. Donne bellissime, ma tutte puttane, “Nocara. Tutte prostitute. Le donne sono bellissime, e ballano bene, massime la tarantella”, “Altomonte. Puttane famose”.  Ma anche alle minoranze: i valdesi, gli albanesi, gli ebrei – con la tranquilla coscienza che “siamo semitici”. Aneddoticamente coltissimo. “Il popolo dice: «Sugnu ri Mancuni», sono dei Manconi. Mangones erano negozianti di schiavi, specie di fanciulli e ragazze. Galeno dice («De math. medendi», XIV, 11) che soleano, un giorno sì e l’altro no, batter loro con sferze cosce e natiche, perché gonfiandosi apparissero più grassi”. Si trova la “zita” in più luoghi, il salto della Zita, la timpa della Zita, la Zita impetrata: “In tutti questi luoghi vi sono olivi. Zaith ebreo vale «olivo»”
Dopo “Il Bruzio”, 1864-1865, nei dieci anni successivi alla pubblicazione e redazione a Cosenza del giornale, il prete, predicatore, drammaturgo sacro, poeta erotico,  professore di liceo e giornalista Padula raccolse una serie di notizie enciclopediche sulla sua “provincia”, che sarebbe Cosenza ma è poi la Calabria. Questa corposa antologia collazionata sugli inediti da Attilio Marinari resiste dopo trent’anni forse per andare controcorrente. Dando cioè “notizie” fuori dal cliché. Ma anche per le sorprese.
Il “culo di Gnesa”, per restare al genere bernesco, è una lezione in breve di filologia. È detto di una sorgente nella quale una serva di nome Agnese, mandata a riempire l’orcio, un giorno che non c’era nessuno si alzò la gonnella per specchiarsi: “Questa favola si narra anche adesso, mostra che gli avi miei non erano indegni di discendere dai Greci, ed apprende che tutte le favole antiche e nuove, cominciando da quella di Venere e finendo al «culo di Gnesa», nacquero dall’ignoranza della lingua e da sbagliate etimologie. Il «culo di Gnesa» è il greco κοίλη αγνή, la «vasca pura», la «vasca pulita», quella dove attingeasi l’acqua pei sacrifici”. Un’anticipazione dell’ignoranza che via via ha avvolto la Calabria e il Sud.
Vincenzo Padula, Calabria prima e dopo l’unità

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