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venerdì 3 giugno 2016

La visita

L’attesa è sempre di oppressione, ma il dottore c’è all’orario, le visite procedono secondo gli appuntamenti, una ogni quarto d’ora. Vanno anzi più spedite, questa è l’impressione, si entra all’ora prevista dell’appuntamento, anche prima, la sala d’attesa sembra vasta tanto è vuota, con uno-due pazienti dell’altro dottore, che condivide lo studio, e chi si limita a ordinare o ritirare una ricetta
L’attesa, ogni volta che bisogna ricorrere al dottore di famiglia, è sempre di oppressione per un motivo: la tradizione è dura a morire. La stanzetta dell’attesa strapiena, quasi fumosa, di gente in piedi e in agitazione, vociante, rumorosa, di donne soprattutto che vanno di fretta e in qualche modo vi passano davanti, per i buoni  uffici di F., la segretaria tuttofare che dirige il traffico. Che anche voi vi ha fatto venire di straforo, “tra un appuntamento e l’altro”, ma inevitabilmente privilegia le conoscenze con cui ha confidenza, per sesso, età e pratica sociale, di linguaggio se non di mestiere. Ma questo è preistoria,
Ora sembra un altro mondo. I pazienti non siamo diminuiti. “Oh no, siete sempre in tanti”, sorride la segretaria: “Il dottor ha il massimo dei pazienti consentiti, purtroppo dobbiamo dirottare le nuove iscrizioni”. Forse ci ammaliamo di meno? Compriamo meno medicine? Sarà la crisi: spendiamo di meno, ci curiamo anche di meno. Il dottore non sembra convinto: “Le medicine le ordino io, non è che le ordino in base alla crisi!” E azzarda: “È un problema di linguaggio”.
Il dottore aveva ambizioni, mantiene gli interessi, gli piace divagare col paziente, immagino con ognuno secondo la sua specialità. Il fatto è semplice: F. era in età e andava sostituita. Al suo posto c’è ora, la mattina, la moglie dell’altro dottore, la sera una studentessa di medicina. Due persone che, per motivi diversi, hanno cognizione delle tipologie e le sigle degli accertamenti diagnostici, nonché dei medicinali caratteristici: con loro si parla breve. Possono così essere inflessibili sugli orari: hanno un’autorevolezza che dà fiducia e libera la sala d’attesa dalle ansie, che si concentrano su quella di passare per primi – è l’impazienza che trasforma le code in ingorghi.

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