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domenica 31 dicembre 2017

La Russia è dietro l’angolo, con Dio

Ritorna il romanzo di Giuliano l’Apostata, quello che combatté tutti gli dei per il desiderio che lo divorava del divino. Romanzo storico filosofico: accurato nella ricostruzione, ma impregnato di filosofia – d’incertezza. Niente avventure. O meglio: l’avventura umana. Tra obbedienza e ribellione. Tra fede e rifiuto. Tra potere e intelligenza.
Un romanzone, con tutti gli attributi. Compreso un pizzico di horror – c’è anche la cucina da chef. Nel momento migliore per la drammaturgia, della convivenza tra paganesimo e cristianesimo, che consente situazioni originali – il cristianesimo visto con disincanto dal pagano.
Un esercizio di bravura su un personaggio però gracile, non un eroe. Incerto e al fine indifferente: monaco e beghino dapprima, poi persecutore dei correligionari. “Unisci, se puoi, la verità del Titano e quella del galileo” è l’esortazione-sfida, maiuscola e minuscola incluse, dello ierofante Massimo di Efeso al neo Cesare in una cerimonia di iniziazione ai misteri: una sfida invece di una certezza. Il potere si vuole certezza, e quando un confidente lo rimprovera: “Perché inganni quel povero ragazzo?”, il teurgo ribatte: “È lui che vuole essere ingannato”.
È lo snodo del romanzo, il capitolo X, o dell’incertezza. Massimo è un mago. Un imbroglione.  Che non si nega: “Giuliano ha visto quello che vuole vedere”. E in generale: “L’uomo ha bisogno dell’entusiasmo”. Tutto è vero “per colui che crede”. Perché: “Dov’è la verità? Dov’è la menzogna? Tu credi, e sei”. 
L’interesse principale della lettura oggi è l’autore. E il fatto che si riedita senza fortuna, dopo i 70 anni di silenzio imposto dal suo antiboscevismo: il Muro non è caduto. Un autore e un romanzo che hanno avuto una fortuna immensa a fine Ottocento, non immeritata – ventitré edizioni censisce Luigi Vittorio Nadai, che cura la ristampa, in Francia nei dieci anni tra il 1895 e il 1905, diciassette nel solo 1901. E una storia che farà da modello a M. Yourcenar per l’“Adriano” che l’ha consacrata. Su una base filosfica che ha impregnato almeno due generazioni di scrittori, il più illustre dei quali è Borges.
Un romanzo a parte è la postfazione di Nadai. Che spiega il tratto essenziale della complessa figura di Merežkovskij, già protagonista delle lettere russe, nei venti anni prima della rivoluzione d’Ottobre, poi proscritto, con Zinada Gippius, sua moglie, e fiero antibolscevico a Parigi fino alla morte nel 1941. Dopo aver provato a farsi forte con Mussolini, che però non lo ricevette una  seconda volta, e perfino con Hitler, che pure detestava. Questi comprensibili cedimenti del lungo esilio ne hanno pregiudicato la memoria, ma il personaggio è di tutto rilievo. Nella soria letteraria russa, e in proprio. Creatore e animatore del simbolismo, fucina delle avanguardie russe. Quindi teorico di una nuova sintesi tra Stato e Chiesa, religione e potere. Autore prolifico e fortunatissimo finchè non dovette abbandonare la Russia: con l’esilio perse la vena e la voglia. “La specificità della storia russa”, spiega Nadai, riportando “a una problematica generale della storia dell’Occidente”. La Russia non è lontana.
Dmitrij S. Merežkovskij, La morte degli dei-Giuliano l’Apostata, Castelvecchi, remainders, pp. 377 € 9.75

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