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mercoledì 3 gennaio 2018

Il paese degli stranieri in patria

Una storia senza una pausa. Un capolavoro di legal-trhiller. Per una volta non sulle procedure penali Usa: questo è sui conflitti interarabi, violenti, interminabili, inutili. Per differenze di nazionalità, religione, etnia, o semplicemente di carattere. Una pietra miliare storico-politica.
Un libanese un palestinese, profugo a Beirut, litigano. Senza voerlo, e senza nemmeno chiedersi la ragione. Che del retso si scambiano vicendevolemente: le parti si rovesciano fino a far diventare il nazionalista libanese anti-israeliano un “sionista”. Ma non è un gioco delle parti, è un conflitto vero, con danni. Compresa l’insorgenza di un passato, per entrambi i contendenti, che volevano e non possono più cancellare. Di un paese piccolo che la sua ricchezza ha reso indifeso.
Venezia ha premiato Kamel El Basha, il palestinese della contesa, per correttezza politica. Il film si regge su Adel Karam, he lo tiene sulla corda dall’inizio alla fine, in un’interpretazione di forza del libanese-straniero-in-patria - anche per una storia più complessa del suo personaggio: vittima bambino della rappresaglia dei palestinesi del campo di Tell-el-Zaatar su Damur, a sud di Beirut, un eccidio di molte centinaia di persone inermi. Ma lo stesso suo avvocato, che lega tutta la vicenda, il nazionalista che porterà i giudici ad assolvere il palestinese suo accusato, è un’interpretazione affascinante. Estremamente caratterizzate, seppure in ruoli di contorno, le mogli dei contedenti, e l’avvocatessa del palestinese.
Un lavoro curato, immagine per immagine, parola per parola, e un esito imponente.
Ziad Doueiri, L’insulto

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